Riprendiamo con estremo piacere le riflessioni della professoressa Agata La Porta, pubblicate sul Nuovo Giornale Nazionale.
 

di Agata La Porta

Un altro anno scolastico è andato e già il pensiero vola ai minuti che anticipano il suono della campanella che segna l’uscita da scuola dei bambini del plesso Branciforti di Leonforte. Aspetto che Viola, mia figlia, arrivi sgambettando felice, o rattristata per un presunto torto subìto o per un traguardo non raggiunto e mi capita di tornare con il pensiero alla mia uscita dalla scuola elementare Vaccalluzzo.
 
Quando l’altro mio figlio, il piccolo Liborio, me lo consente, mi astraggo quasi e provo un certo sentimento d’invidia nei confronti di quei bambini, che tra poco “vivaci e chiacchierini” si precipiteranno, in barba ai pericoli del traffico, a perdersi tra le braccia dei loro trepidanti genitori o dei raggianti nonni.
 
A me non capitava mai! O magari non ricordo mi sia mai capitato. I miei maestri erano anziani e, manco a dirlo, tutti e tre amici di papà, maestro anche lui e sindaco sempre indaffarato nelle cose del Comune, per potersi permettere il lusso di venirmi a prendere a scuola. La mamma badava ad Antonietta, la sorellina più piccola.
 
Pertanto, suonata la campanella, andavo a stringere la mano della maestra Enza Geraci e insieme ci avviavamo a casa. Durante il breve tragitto, il cui ricordo mi torna spesso struggente, senza che io neppure me ne accorgessi, la maestra Enza continuava la sua opera educativa. Così come una mamma fa con una figlia.
 
Si parlava di quanto era successo a scuola, dei progressi che avevamo fatto con la maestra Rosetta Cremona e con il maestro Ciccio Buttafuoco, che era fissato con l’ortografia e le regole di grammatica e di sintassi. Tanto fissato da farci imparare i verbi a memoria. Dio lo benedica, e benedica i miei maestri.
 
Non erano professionisti, non erano scienziati, non erano pedagogisti, non erano sociologi, non erano psicologi…erano tutto, perchè erano maestri. Dio li benedica i miei maestri, perchè non ci consideravano clienti, ma persone; teneri virgulti, direbbe papà, da curare, da custodire, da puntellare, da sostenere, per accompagnarli, poi, a gioiosamente crescere e svettare.
 
Un lavoro faticoso, attento, meticoloso, di quelli che tolgono il sonno; di quelli di cui si lascia generosamente la raccolta dei frutti ad altri. Non è nostalgia nuda e cruda. Non solo quella. E’ vero, infatti, che qualsiasi teoria didattico-pedagogicaeducatica è valida, validissima per il raggiungimento delle finalità educative. Tuttavia, ci capita il rischio di rimanere ingarbugliati nella loro attuazione pratica con i nostri bambini e impastoiati in griglie e grigliette che assumiamo spesso come indispensabile viatico alla nostra opera.
 
In fondo, esse talvolta sono state partorite da Soloni, che pontificano, presumendo di potere richiudere la personalità di ciascun bambino nella gabbia della loro scientifica esperienza. I medici, anche i più grandi luminari, si affannano per giustificare i loro insuccessi a dire che la medicina non è una scienza perfetta. Se la medicina non è scienza perfetta, figuriamoci la pedagogia e l’educazione che parlano oltre che al corpo, all ‘anima di un’infinità di persone… C’ è solo un modo di avvicinarsi ad una corretta funzione educativa, tornare ad essere maestri. Orgogliosi di essere maestri…
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