di Cetty D’Angelo

La Scuola cattolica, film diretto da Stefano Mordini, è tratto dall’omonimo romanzo di Edoardo Albinati, vincitore del premio Strega del 2016. Il film, presentato in anteprima fuori concorso alla 78esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2021, ha fatto discutere per essere stato vietato ai minori di 18 anni dalla commissione per la censura. La pellicola si propone di esaminare il substrato culturale e formativo che condusse al fatto di cronaca del 1975 noto come “massacro del Circeo”, durante il quale Rosaria Lopez (19 anni) e Donatella Colasanti (17 anni) vennero rapite, stuprate e seviziate da Andrea Ghira, Angelo Izzo e Gianni Guido, tre giovanissimi ragazzi della borghesia romana.
La vicenda è narrata  dal giovane Albinati, che frequentava la stessa scuola cattolica dei fautori del delitto. Per più della metà del film l’attenzione è concentrata sull’humus socioculturale che contrassegnava la comunità e la scuola privata maschile di stampo cattolico frequentate dai protagonisti: emerge un atteggiamento fortemente elitario dei personaggi ed un’ idea distorta della virilità, che li porta ad assumere comportamenti tipici della peggiore mascolinità tossica, tendente alla sopraffazione del più debole e delle donne. Tale machismo tossico viene individuato come l’elemento culturale scatenante il delitto del Circeo, i cui sviluppi vengono narrati solo nell’ultima parte della pellicola.  Angelo e Gianni adescano le due vittime gentilmente e le convincono a recarsi insieme a loro in una villa nel Circeo di proprietà della famiglia di Ghira. Qui le ragazze vengono reiteratamente stuprate e seviziate dai ragazzi per due giorni. Rosaria muore durante le torture, mentre Donatella riesce a salvarsi, fingendosi morta.
Nonostante la quasi totalità del film si concentri sull’ambiente, la mentalità e i fattori educativi che furono alla base del massacro, tale inquadramento culturale non è realizzato con troppo successo: la narrazione non appare molto fluida e la cultura del “machismo tossico”, che dovrebbe rappresentare la tematica centrale della pellicola, non è ben sviscerata. Inoltre, la psicologia dei personaggi resta superficiale: non si capisce bene cosa spinge gli aguzzini a commettere il delitto, in quanto sembra esservi un balzo non giustificato fra l’atteggiamento iniziale arrogante dei protagonisti e le azioni efferate e sadiche del finale, mentre l’ estrazione neofascista dei ragazzi è solo accennata. Relegando la descrizione del delitto all’ultima parte del film, il crimine appare addirittura marginale all’interno della narrazione. Nonostante ciò, la descrizione del reato rappresenta la parte del film realizzata meglio: le scene delle torture, di grande impatto visivo ed emotivo, scuotono profondamente lo spettatore, nonostante non scendano in dettagli eccessivamente scabrosi. Il film fa un salto qualitativo non indifferente.
Dunque, se il finale del film centra i propri obiettivi, poiché è ben girato e segna lo spettatore, non si può dire lo stesso della parte contestuale, che relega il delitto ai margini della pellicola, senza essere però realmente esaustiva. Molto intensa e profonda Benedetta Porcaroli nei panni di Donatella.