di Salvo La Porta

Alla cara memoria del mio amico, avvocato Gianni Longo.

 

Contento e speranzoso nella “disinteressata” delicatezza olearea in omaggio ai fratelli Pilaro, Ninicchio Mancuso si affrettò a depositare la latta dell’olio vuota a casa e si posizionò davanti al portone di Corso Umberto, da dove strategicamente avrebbe potuto osservare i movimenti tra il Casino dei Nobili e la piazza Regina Margherita, per agevolmente scorgere la presenza del

“ Professore”, al quale sarebbe andato tosto a presentare la sua accorata richiesta.

Era trascorsa quasi un’ora abbondante, però, e del “Professore” neppure l’ombra; per cui, decise di attraversare la strada e di entrare al Casino. Diede uno sguardo nella “cammaredda” della conversazione, un altro nella sala della carambola, uno nella sala da gioco ed un altro ancora nella saletta dei giornali. Niente. “ Silenziu arrustutu”, un silenzio assordante, che lo fece precipitare in una profonda inquietudine, poiché gli esami sarebbero stati a breve e lui aveva veramente bisogno di essere rassicurato.

Avrebbe potuto chiede a Nino Proto, collaboratore del Casino dalla battuta caustica sempre pronta, nonché profondo conoscitore del carattere dei soci, notizie su quella agognata presenza, ma preferì tacere, perché “ nun si sapi mai, non si sa mai.. qualcuno avrebbe potuto sentire e chiedere o chiedersi il motivo di quell’interessamento…miegghiu di no, meglio di no.”

Ma a Nino Proto non sfuggiva nulla di quello che accadeva al Casino, né del comportamento e dell’umore dei soci, dai quali era tenuto nella massima considerazione e verso i quali manteneva sempre un comportamento di deferente confidenza.

Fu, dunque, lui a chiedere, “ chi cerca a quarcunu? Sta cercando qualcuno?”

“ No, no”, si affrettò Ninichhio temendo di essere scoperto, “ a nuddu, ma vistu ca mi stai addumannannu, s’ha vistu

 

‘u Prufissuri Pilaru? Non cerco nessuno in particolare ma, poiché mi chiedi, si è visto il Professore Pilaro?

“ Ca’ ha statu sinu ad ora ora, è stato qui sino a qualche momento fa, nisciu da’ cammaredda, è uscito dalla cameretta di conversazione e pigghiau a’ pinnina, si è diretto verso sotto”, gli rispose Nino, insinuandoglisi con gli occhietti furbi e complici sino in fondo alla bocca dell’anima, tanto da farlo impallidire come una carta e al contempo arrossire come un gambero, per la paura di essere stato scoperto.

Non che il giovane universitario avesse mai potuto dubitare della benevola discrezione di Proto; ma si sa, a volte anche senza volere, un innocente interessamento rischia di diventare un pettegolezzo che, giungendo a conoscenza dei più malevoli, si trasforma in subdola maldicenza.

Ci sarebbe voluto poco a spargere la voce, che aveva superato un esame tanto difficile solo perché raccomandato.

Fece, pertanto, violenza a se stesso e rimase ancora un po’ a gironzolare per i saloni del Casino, come se il fatto non fosse suo e non aspettasse nessuno in particolare.

Quando gli parve di potere uscire senza destare sospetti, fischiettando attraversò lentamente il Corso Umberto come se non avesse nulla da fare e si diresse al portone di casa, entrando come se stesse ritirandosi.

Riuscì a trattenere il cuore in subbuglio appena pochi minuti, prima di uscire fischiettando disinvoltamente, incamminandosi come uno che non ha una meta; e, in realtà, una meta non l’aveva, soltanto perché non sapeva dove esattamente si trovasse Pilaro.

Cominciò, quindi, a scendere “ a passi tardi e lenti” lungo il Corso, intrattenendosi senza dimostrare alcuna fretta con i numerosi amici, con i quali si imbatteva e, nel contempo, facendo roteare gli occhi nella concupiscente speranza di intravedere il “Professore”.

All’altezza del palazzo Lo Sicco, lo schiariu, lo intravide da lontano, che davanti la farmacia chiacchierava con il dottor Mazza.

Avrebbe voluto allungare il passo, ma “prese immediato consiglio di mantenere un’opportuna prudenza” e, addirittura, rallentò, sino a fermarsi a contemplare i finestroni del palazzo, quasi fossero quelli di Palazzo Venezia.

Aveva appena deciso di riprendere il cammino, quando fu proprio Pilaro, che scorgendolo da lontano, interruppe quella che sembrava un’animata conversazione con il farmacista e lo chiamò, “ Ninicchiu, Ninicchiu, avvicinati, veni ca’ “.

Questa volta, il ragazzo non riuscì a trattenere il passo e, in men che non si dica, si ritrovò ad essere terzo a discutere con i due amici.

Sienti, Ninì, ti pari giusto ca sti parrina si devunu interissari di politica? Il Farmacista dice che tutti i cittadini possono e devono interessarsi di politica. Io dico che se sono preti, monaci, o in ogni modo impegnati nella Chiesa, solo alle cose della Chiesa si devono interessare e lasciare le cose del mondo agli altri. Tu, Ninicchiu, chi dici?

Ma guarda che guaio”, pensava imbarazzato il ragazzo, “ ma propriu ora avia arrivari; e ora che cosa devo dire?”

Tuttavia, una qualche cosa doveva pur dirla, muto non era ed aveva cominciato a balbettare disordinatamente qualche parola nella speranza di non fare torto a nessuno dei due contendenti, quando fu il dottore Mazza a toglierlo dall’imbarazzo.

“ Cari amici, io penso che ogni cittadino sia libero di esprimere tranquillamente il proprio pensiero; anzi, dovere di tutti è esprimerlo in piena libertà, senza condizionamenti e scevro dagli interessi personali. La Chiesa è un’Istituzione importantissima; non si può negare che ci sono preti, monaci e fedeli, che fanno tanto bene e che, se non fosse per la loro presenza, molte persone soffrirebbero nell’anima e nel corpo più di quanto non soffrano.

Il fatto, però, è che la Chiesa, che svolge liberamente la Sua missione, la deve svolgere senza ‘ntricarisi, intromettersi troppo nelle cose dello Stato. Praticamente, senza scoprire l’acqua calda, libera Chiesa in libero Stato.”

Pilaro stava per ribattere, quando da lontano apparve , avvolto in un mantello nero, Padre Varano.

Non appena il “Professore” intravide il povero prete, che stancamente si avvicinava, appoggiandosi stancamente al suo bastone, cominciò a dare sfogo a tutto il suo livore anticlericale.

“ Eccolo… mascalzone, farabutto, imbroglione, cuorvu niuru malasurtatu. Ma se c’è l’Inferno il primo ad andarci tu sarai!” E ad altre astiose espressioni del genere si lasciava andare di mano che lo sventurato zoppicava più da vicino; tanto che Ninicchio aveva cominciato a pensare come fare per toglierglielo dalle mani, quando quello fosse stato più vicino. “Il cuore gli avrebbe strappato, il cuore”, pensava il giovane.

Invece…. invece, quale non fu la sua meraviglia, quando, all’arrivo del prete, Pilaro si scappellò, profondendosi in mille complimenti e salamelecchi, “ Reverendo, che piacere vederla; io e mia sorella Leonilde abbiamo una grande stima di lei. Che persona buona che è! Tutti i preti come lei dovrebbero essere” e giù di lì, sino ad arrivare ad abbracciarlo e baciarlo.

Invano, il poveretto cercava di schermirsi…lui rincarava sempre la dose degli ossequi, mentre Mazza infastidito entrava in farmacia dopo avere cortesemente salutato e il ragazzo rimaneva basito.

Come Dio volle, padre Varano riuscì a svincolarsi da quegli abbracci verbali e materiali e, finalmente, Ninicchio rimase solo con il Professore e poté esternargli la sua richiesta di aiuto.

Tranquillu ‘a stari, Ninì. Appena t’assetti, ti siedi, devi solo dire piano ma che bene ti senta, tanti saluti do’ prufissuri Pilaru e…a cosa è fatta.”

“ Accussì dici?” sospirò sollevato il ragazzo,

“ Accussì”, sentenziò Pilaro, “ e grazie per l’olio; ah, mi hanno detto che hai arance tarocco buonissime, a me piacciono tanto”.

Si nun s’affenni, se non si offende, gliene porto un paniere”, fece Ninicchio, sicuro che il “Professore” non solo non si sarebbe offeso, ma avrebbe molto gradito.

 

Quando venne il giorno degli esami, Ninicchio di prima mattina fu a Palermo in Facoltà ad aspettare di essere interrogato.

Vide passare davanti a lui cinque colleghi, che erano stati “vivamente consigliati” dal professor Schiaccianoci di presentarsi la prossima sessione; all’ultimo ragazzo, addirittura, il “consiglio” venne rinforzato dallo svolazzio nel bel mezzo dell’aula del libretto universitario, accompagnato da un sonoro, “ si vergogni!”

Ninicchio fu sul punto di lasciare perdere e di presentarsi un’altra volta, piuttosto che subire l’umiliazione di essere bocciato. Tuttavia, le parole di Pilaro lo rincuoravano decisamente e, preso il coraggio a due mani, appena sentì risuonare il suo nome, andò ad accomodarsi davanti la Commissione, composta dallo Schiaccianoci (un vecchio burbero, nemico dell’acqua e sordastro) e da due assistenti, un maschio(si fa per dire) e una femmina, che sembrava Cita, la scimmia di Tarzan, tutti e due messi la’, “pi ummira di cucca”, come se non ci fossero.

Senza perdere tempo, mentre il professor Schiaccianoci esaminava il libretto, fece come Pilaro gli aveva suggerito e,

“ tanti saluti do’ profissuri Pilaru”, sussurrò appena e, vedendo che quello sembrava non avesse inteso, alzò un po’ la voce e rifece, “ tanti saluti do’ prufissuri Pilaru”.

Ma il cattedratico sembrava non sentisse; per cui, portandosi la mano destra all’orecchio, visibilmente infastidito chiese a voce sostenuta, “ Ah? Che cosa?”

Sentendosi erroneamente incoraggiato, allora, Ninicchio incalzò, “tanti saluti do’ prufissuri Pilaru”.

Non l’avesse mai detto; Schiaccianoci, indispettito, batté con forza la mano sul tavolo e con gli occhi fuori dalle orbite, gli chiese, “ e chistu cu è? Chi è Costui?”

 

Nella foto realizzata da Salvo La Porta, la farmacia di cui racconta nel testo.