di Lucio Sergio Catilina

A ben guardare, Publio Virgilio Marone, in arte Virgilio, con il carattere mite e timido che si ritrova, dopo la confisca dei beni in quel di Mantova, pare abbia dovuto chiedersi se non gli fosse convenuto scrivere in maniera da garantirsi, se non la protezione, l’amicizia dei potenti.

Se non avessi in grande conto, stima e simpatia il Mantovano, mi spingerei a dire (dissacratore come sono sempre stato) che, sotto sotto, un po’ di cortigianeria nelle Sue opere si può trovare.

Ma, per favore, fate conto che queste mie prime considerazioni non le abbia mai fatte. Stimo tanto Virgilio; avete notato che, quando scrivo di Lui, uso sempre la maiuscola?

La mia stima rasenta l’amore; ebbene si, sputo l’osso, Lo amo!

Lo amo per quello che è, ma anche per la descrizione che ne fa il più famoso dei Suoi allievi, che Lo accoglie nel suo cuore e, generosamente, Lo dona all’Umanità intera come modello, guida, signore, padre, e…” Maestro”.

Ciascun essere umano abbisogna di una guida, di un maestro. Un Maestro vero intendo. Uno di quelli, ai quali ci si può rivolgere senza il timore di dovere scegliere prima le parole adatte; un amico di quelli, ai quali si può fare ogni genere di domanda o chiedere consiglio senza parlare. Perché, lui sa già.

Un amico, a sua volta, muto; discreto nel darti coraggio, attento a non farti sentire meno di lui e a non farti male, schiaffandoti contro la ricchezza delle sue premure. Uno che non si pone come maestro, ma che si dispone ad ascoltare i tuoi suggerimenti.

Ne avessi avuto uno; un amico, che mi fosse stato sincero! Avrei forse potuto evitare l’amara esperienza di Pistoia e forse la storia di Roma si sarebbe tinta di altri colori.

Amo perdermi nei versi dell’Eneide. Mi commuovo sempre (magari non ci crederete vista la mia fama), quando mi soffermo a leggere l’amore della sventurata Didone che, ignaro strumento del Fato, riconosce nell’incauta passione per Enea i “veteris vestigia flammae”, i segni dell’antica fiamma.

Ahimè, nulla può l’uomo per contrastare i disegni del Fato. Gli stessi dei, a volte, nulla possono. Lo ribadisce Virgilio quando, nell’Ade la Sibilla Cumana esorta l’eroe troiano a smettere di sperare che le preghiere possano in qualche modo cambiare il destino, “ Desine fata deum flecti sperare precando”.

Non si era ancora accorto l’Altissimo Poeta che non era nulla vero. Non poteva, poiché nella Sua giornata terrena non aveva conosciuto il messaggio di un Uomo, che lo avrebbe liberato dalla schiavitù “ degli dei falsi e bugiardi”.

Ci penserà Dante, a riabilitarlo agli occhi del mondo, facendogli affermare che, alla luce del sacrificio di Cristo e per mezzo della preghiera, le anime purganti saranno ammesse più speditamente alla contemplazione di Dio.

Mi rimane, tuttavia, il dubbio se e quanto le preghiere possano influire sul decorso della vita degli uomini e se questi con le loro opere possano imprimere un’impronta squisitamente personale al loro viaggio terreno.

Ci penso spesso e mi confronto non di rado (absit iniuria verbis) con personaggi, i quali ancora oggi tra voi che vivete nel mondo godono, a ragione, di stima e profondo affetto.

Oltre che con lo stesso Virgilio, del pensiero del quale mi piace pensare sia stata data “interpretazione autentica”da Dante, mi capita soffermarmi con Epicuro, con Agostino, con Lutero e con Erasmo e, forzandone un po’ il pensiero e adattandolo alle mie esigenze di oramai inguaribile cristiano, con il solito Giordano.

Da queste conversazioni, sono giunto alla conclusione che opere e preghiere vanno, praticamente, di pari passo.

Le opere sono tutte quelle azioni, che tendono a raggiungere un fine immediato o di là da venire, lo sappiamo; ma non solo quello sono.

Esse sono nella quotidianità dell’Uomo dal cuore puro, la trasposizione di un incontro unico, intimo, intenso…eterno con un Dio, del quale l’Uomo non è solo immagine e somiglianza, ma completa intimità…”Identità”!

L’incontro dell’Uomo con Se stesso; Dio è Verità, credo che non ci piova, e se la Verità è dentro l’Uomo, questi non può sopportarla come un peso estraneo, ma con la preghiera si riconosce in Essa. Con Essa si confonde.

Gli accadimenti della vita terrena, dice Epicuro, ci vedono come attori di un copione, che altri hanno scritto per gli uomini e senza gli uomini; noi siamo chiamati a recitare nel modo migliore anche le parti, che non ci piacciono. Ma quello è il copione e gli stessi dei nulla possono fare per cambiarlo. E’ quello e basta il copione!

Il ragionamento non fa una grinza e può anche avere una sua logica giustificazione, soltanto se si pensa che il Filosofo considera l’Uomo altra cosa da Dio.

Vero è che“nulla vi è di nuovo sotto il sole”; ma è, altresì, vero che tutto quello che l’individuo vive, lo vive in maniera unica, così come egli è, “unico è irripetibile”.

L’unicità e l’irripetibilità di ciascuno non può che darci l’intuizione dell’Essere Unico, Irripetibile, Onnipotente ed Onnisciente, dal quale l’uomo proviene ed al quale, avendolo conosciuto, per libera scelta anela tornare, per perdersi e confondersi definitivamente con e in Lui.

D’altronde, essendo Dio onnipotente non può che essere assolutamente libero da qualsivoglia condizionamento e non essendo l’Uomo altro da Dio, non può che essere libero di recitare la sua parte nel modo che più gli aggrada.

Rispetto a tutti gli altri esseri viventi, dice Giordano Bruno, l’uomo è quello più consapevole della sua anima e del fatto che Dio sia dentro di lui.

Agostino raggiunge “tardi” tale consapevolezza, “dentro l’Uomo è la Verità” e all’Uomo non rimane che prenderne atto. “ Tardi t’amai, bellezza infinita, tardi t’amai, bellezza così antica e cosi nuova….tu eri dentro di me, ma io ero fuori…”

Incontratala, finalmente, la Verità, però, ha “fame e sete” solo di Essa, sino a confondersi e perdersi in Essa, divenendone un’unica essenza,” perfetta, inalterabile e assoluta”.

Ne consegue, pertanto, che il copione, di cui vi ho detto prima, non può che essere stato scritto da Dio in unione con i singoli individui; e, poiché, l’Uomo è autore del copione, ad esso può apportare tutte le modifiche, che ritiene necessarie, attraverso quel formidabile strumento che è la “preghiera”.

La preghiera è tanto efficace, da potere mutare in pochi secondi il corso di un accadimento, che avevamo dato per scontato.

Purché, ovviamente, l’uomo tenga a mente che non può desiderare nulla che sia fuori da Dio, poiché fuori da Dio nulla esiste.

Questo, non solo per la buona pace di quel solito sciampagnone dell’Arpinate, per il quale la fortuna vale di più della sapienza, ma anche di quel menagramo di Martin Lutero (fortunatamente ed egregiamente confutato da quel furbone di Erasmo), che consuma il più infame dei supplizi ai danni dell’Uomo, privandolo del bene più grande, la libertà.