di Davide Maurizi

Leonforte. Sullo schermo del pc guardo un video vecchio, di quelli con una risoluzione così bassa al punto da poter contare i pixel, di un ragazzo con un pallone. Ha più o meno dodici anni, e, circondato da altri ragazzini della sua età, sceglie di calciare il pallone in alto, fortissimo, noncurante di dove possa cadere. Calcia con la sicurezza di chi sa che la palla non possa finire in strada, o su un balcone, o colpire inavvertitamente qualcuno. Il video è infatti girato in Piazza della Repubblica, ed è impossibile che il pallone finisca in strada perché sei già in strada, è difficilissimo che finisca su un balcone perché la piazza è larghissima, è tristemente complicato colpire qualcuno perché la piazza è sempre vuota e silenziosa.

Mi piace definire Piazza della Repubblica uno spazio liminale. Per chi (come me fino ad una settimana fa) non sapesse che cos’è: uno spazio liminale è un luogo di transizione, che si trova in mezzo a due luoghi indentitari. È possibile individuare degli spazi liminali negli aeroporti, nelle stazioni, ma anche nei corridoi e nelle scale: insomma, dei posti privi di cultura e tradizione, che non sono stati investiti dal passaggio della Storia. Dei non-luoghi, senza alcuna caratteristica particolare, senza identità, così anonimi che, vedendoli per la prima volta, sembra di averli già visti. Spazi pieni (e contemporaneamente vuoti) di elementi tutti uguali, tutti noiosamente ripetuti. La liminalità è possibile riscontrarla anche nelle sensazioni che le persone vivono attraversando quei luoghi: tristezza e nostalgia miste a una certa estraneità.

Qui si ritorna a Piazza della Repubblica, una leccata di cemento lunga più di cento metri, circondata da un agglomerato di case popolari tutte verdi, tutte uguali. Un luogo privo di fontane, di madonnine chiuse nelle teche, di panchine o di qualsivoglia elemento che possa caratterizzare una tipica piazza siciliana. Uno spazio pieno di niente, che, come un foglio bianco, aspetta solo di essere riempito.

Piazza della Repubblica era un foglio bianco anche 40 anni fa, ma i ragazzi di allora riuscivano a colorarlo: flotte di bambini si riversavano nelle strade giocando a pallone, con la strummula o a dinucchiuni. I ragazzi disegnavano le porte con il gesso, costruivano le dondole con le gomme delle macchine: i bambini erano riusciti a creare un mondo tirandolo fuori direttamente dal nulla, identificandosi in una Piazza che non gli dava letteralmente niente.

Oggi bambini in strada ce ne sono pochi. Mi dicono che è per via dei telefonini, io penso che sia per via della scarsa natalità, o comunque per il mancato ricambio generazionale nelle abitazioni, vissute principalmente da anziani e da poche giovani famiglie.

Io e gli altri ragazzi nati dopo gli anni ‘90 che abbiamo vissuto Piazza della Repubblica siamo cresciuti nel niente, nel vuoto, nella liminalità. Il grigiore ha caratterizzato le nostre vite sin dalla nascita, come l’abisso di Nietzsche che più lo guardi, più entra dentro di te. Forse Piazza della Repubblica è una metafora che può rappresentare l’intera Leonforte: uno spazio pieno di piazze vuote, monumenti grigi, in generale di elementi anonimi che rischiano di rendere i suoi cittadini anonimi.

Eppure, ancora oggi, c’è che si identifica in Piazza della Repubblica, e non perché si è fatto assorbire dalla sua vuotezza, ma perché in quel nulla ci vede un’infinità di opportunità. Piazza della Repubblica è niente, ma potenzialmente può essere tutto: basta solo l’immaginazione.

E forse è il motivo per cui tanti ragazzi di oggi, cresciuti nella liminalità di Leonforte, se ne identificano, proprio perché la traducono in un’infinita potenzialità: come noi ragazzi, in futuro, possiamo diventare qualsiasi cosa, anche Leonforte può crescere e diventare qualcosa di migliore.