La “Cupola” della mafia o meglio la “Regione”, almeno per il pentito catanese Antonino Calderone, ha avuto il suo battesimo in provincia di Enna. Lo scrive nel suo libro-testimonianza, “Gli uomini del disonore”, curato da Pino Arlacchi e pubblicato nel 1992 dalla Mondadori. La sua tesi sfata tanti luoghi comuni a cominciare dalla cupola per arrivare ai padrini.

Secondo il collaboratore di giustizia dentro l’organizzazione mafiosa nessuno avrebbe mai parlato di cupola, ma di gran consiglio. E fino al 1975 non sarebbe esistita neppure una struttura piramidale compiuta. Solo nel febbraio di quell’anno nacque un coordinamento che toccava quasi per intero tutta la Sicilia. Nelle campagne di Enna, Calderone indica la tenuta di Paolino Cancelliere, si sarebbero riuniti i rappresentanti di sei provincie, Palermo, Trapani, Enna, Agrigento, Caltanissetta e Catania per eleggere Pippo Calderone, fratello di Antonino, non padrino o capo dell’organizzazione ma quale “segretario”. Si, a leggere la testimonianza del pentito catanese chi coordinava l’attività delle sei provincie era il segretario della commissione regionale.

Quest’ultima non fu mai definita dagli appartenenti cupola ma semplicemente “Regione”. Secondo Calderone il segretario non era portatore di poteri e prerogative speciali ma aveva affidato un compito ben preciso, mantenere l’organizzazione unita e far rispettare le regole non scritte. Non primeggiava, non superava i rappresentanti provinciali o i capifamiglia. E per rafforzare tale concetto racconta, nello stesso libro, un episodio che a suo parere la dice lunga sulla vera attività del segretario. Quando, in seguito, venne eletto Michele Greco questo si autodefinì il “cameriere” dei rappresentati con il compito di ascoltare tutti, fissare le riunioni e proporre gli ordini del giorno. Ma siamo fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, poi la cronaca, divenuta ormai storia recente, ci ha raccontato altro con violenze e misfatti inauditi.

Paolo Di Marco