di Lucio Sergio Catilina

 

Non chiedetemi, per favore, né dove né quando ho assistito ai fatti, che sto per raccontarvi. Come voi sapete, io vivo in una dimensione completamente diversa dalla vostra.

Il poveruomo non ne poteva proprio più. Quel gracchiare dell’altoparlante gli si conficcava proprio dentro le tempie e da lì si diffondeva per tutto il corpo sino a rosicchiargli l’anima.

Aveva provato a chiudere le imposte nonostante il caldo d’Agosto; niente!

Quella maledetta voce riusciva ad insinuarsi attraverso le più piccole fessure, alla maniera delle fastidiosissime zanzare, che aspettano il momento opportuno per sfoderare il loro pungiglione e (mentre tenti d’appisolarti) pungerti il corpo lì dove il prurito è più fastidioso e non ti puoi grattare.

Non c’era rimedio, non c’era riposo. Se la doveva sorbire quella voce, che gli perforava il cuore.

“ Raccolta ferro vecchiooo… si raccoglie ferro vecchio d’ogni genere…“,strillava la voce e lui non poteva fare a meno di pensare che tra tutti i generi di quell’ormai ossidato (se non arrugginito) metallo potesse esserci proprio lui con tutti i suoi acciacchi, con tutte le sue delusioni, i suoi insuccessi, i suoi tradimenti.

Si, proprio con lui ce l’aveva quella voce. In fondo, forse aveva anche ragione… aveva superato i settanta ed aveva anche potuto registrare che pochi erano quelli disposti a prestargli ascolto.Anche quando cercava di dire la sua, lo ascoltavano con la pietosa indulgenza di chi si apprestava a ripetere per l’ennesima volta la medesima solfa.

Il messaggio era proprio un messaggio alchemico, indirizzato a chi avrebbe avuto orecchie per sentire aldilà del freddo e sterile contenuto commerciale.

A conferma della convinzione che si era costruita, sopraggiunse (frammischiandosi al gracidare dell’altoparlante) il suono di una canzonetta, che la radio diffondeva ad alto volume, rincorrendolo sino a catturarlo nel piccolo studiolo, nel quale aveva cercato di trovare rifugio.

“Vecchio, diranno che sei vecchio….”, gli cantava Renato Zero, uno stravagante cantante molto amato in Italia.

Corse a vedere da dove provenisse la voce e si accorse che proveniva dalla cucina della sua stessa casa e che sua moglie Pina la stava canticchiando sottovoce, seguendone passo passo le parole e la musica siccome facevano “ ioci causa, per gioco”, seguendo un passatempo molto in voga, quando si ritrovavano insieme agli amici, il Karaoke.

Non ci potevano essere dubbi; il messaggio era chiaro.

Decise allora di voltarla sul ridere ed avvicinatosi alla moglie (impegnata nelle sue faccende mentre l’altoparlante riprendeva a strillare la sua offerta di acquistare ferro vecchio), le sussurrò, “Pinu’, vidi..vidisi chistu è dispostu a pigghiarisi a mia,vedi se è disposto a comprarmi….al peso di una settantina di chili… potresti guadagnare una cinquantina di euro (l’equivalente dei cinquanta sesterzi romani), bon’è bon’è… tuttodiguadagnato!”

La moglie, però, non volle dargli granché conto, preoccupata com’era che non le sporcasse il pavimento appena lavato e lo liquidò con il più dolce dei sorrisi, “si, si, ora glielo chiedo…bon’è bon’è.”

Si sentì quasi smarrito e si ricacciò dentro una lacrima, che tentava di farsi strada sulla guancia, che cominciava a diventare rugosa, ma decise di non dargliela vinta.

Chiunque avesse inteso lanciargli quel messaggio, avrebbe avuto il suo bel tempo di aspettare… non sarebbe stato lui a decidere se e quando consegnarsi a quello del ferrovecchio.

Si determinò di chiudersi in bagno, radersi, farsi una bella doccia, sotto l’acqua della quale in un crescendo di squarciagola si mise a cantare, “voglio vivere così… col sole in fronte!”

Avrebbe, quindi, indossato il suo vestito preferito e sarebbe uscito….fuori, a mordere la vita ed a berla a grandi sorsi, perché alla fine,“quisque faber fortuna suae, ciascuno è artefice del proprio destino!”