di Paolo Di Marco

È tempo di assicurare un nuovo cammino al campo progressista. In tanti da tempo lo pensano ma adesso gli elettori si sono anche espressi sottoscrivendo un chiaro invito. Il voto del 25 settembre ha confermato che la forza progressista va ricreata, ripensata, rimodulata avendo quale barra direttrice un programma limpido e identitario senza voglia forviante di governare a tutti i costi. L’associazione Mondoperaio di Enna, all’indomani del rinnovo del parlamento nazionale, ha iniziato questo cammino, fatto di analisi e prospettiva, con in testa il suo presidente Totò La Terra: “La prima contraddizione che non aiuta i progressisti sta nel fatto che nell’ultimo decennio, la Sinistra italiana ha perso tutte le competizioni elettorali ma ha partecipato a tutti i governi.”

Come dire, la poltrona più importante del programma, del cammino politico?

“Proprio così, quando invece progressismo vuol dire mutamento della società con riforme e innovazioni, avendo un fine ben preciso il progresso sociale ed economico della comunità.”

Il passaggio dalla teoria alla pratica è infido.

“Sono decenni che la Sinistra non riesce a fare chiarezza sugli obiettivi comuni. Anzi si è dilettata esclusivamente su invenzioni linguistiche e di facciata. Ripenso alla Cosa di Occhetto, al Campo progressista di Pisapia e per ultimo al Campo largo di Letta”, trasformato, secondo i più acidi, nel campo santo della sinistra italiana. Insomma manca chiarezza e lungimiranza per una classe dirigente che si è mostrata con il braccino corto? “Questo è il motivo per cui il M5s ha invaso il campo dei progressisti e si candida a diventare l’approdo o il rifugio dei delusi della sinistra. E dire che proprio i grandi intellettuali progressisti degli anni Settanta avevano profetizzato già allora l’attuale trasformazione sociale, con la metamorfosi degli operai massa in operai sociali.”

Dunque a sinistra già cinquanta anni fa c’era chi aveva intravisto il passaggio dalle catene di montaggio ai call center, la condanna del precariato, l’avvento dei riders laureati e con tanto di master.

“La ripartenza si avvia con la trasformazione da partito classista a partito aperto anche alle istanze dei ceti medi che vedono riportate indietro le lancette dell’orologio. Oggi regna la confusione che non aiuta, anzi distrugge e porta alla perdita delle conquiste epocali.”

Presidente La Terra, lei lancia un monito, basta con le scelte di vetrina andiamo sul concreto:

“Sicuramente, non basta cambiare nome a un partito, sostituire ogni anno un leader, occorre fare chiarezza e riempire di significato il termine progressismo.”

Chiarezza innanzitutto per il nuovo corso?

“Si chiarezza. Bisogna ripartire da lì per riportare gli italiani alle urne, per far ripartire una iniziativa politica capace di interfacciarsi con le diverse sfaccettature della comunità. Sono convinto che una tale strategia porti ad un rinnovato riformismo italiano per la nascita di un partito laburista, laico, riformista, autenticamente socialista che accetti la sfida al globalismo e abbandoni le scorie dell’ideologismo.”

Lei pensa ad un partito-partito, vecchia struttura. Niente a che fare con la leggerezza idealizzata da altri?

“C’è bisogno di un vero partito per operare scelte impopolari e coraggiose. A questo riguardo mi spingo oltre e penso, ad esempio, che è necessario tornare al finanziamento pubblico, senza ipocrisie, perchè la democrazia ha un costo. L’abolizione è stato un errore scellerato che ha dato spazio al populismo reazionario.”

Nel nostro piccolo in provincia di Enna cosa fare?

“Ritengo che i neo parlamentari eletti, Stefania Marino e Fabio Venezia, dovrebbero farsi carico del rilancio di una vera area riformista per approdare ad una assemblea territoriale e dare vita ad un soggetto politico ampio e laburista con attenzione e riferimento alle grandi Socialdemocrazie del Nord Europa.”

Il presidente di Mondoperaio Salvatore La Terra conclude:

“Anche nella nostra provincia c’è fervore nel riscoprire la terza via tanto contrastata negli anni settanta, che oggi potrebbe essere un grande modello che integra sinergicamente pubblico e privato. La società di mezzo avrebbe un ruolo trainante con tutte le rappresentanze economico e sociale, mentre oggi sostanzialmente è tagliata fuori, in balia di grandi confusioni, senza uno scoglio dove aggrapparsi. Bisogna ripartire dal presidio democratico del territorio per evitare ciò che sta accadendo.”