di Francesca Maria Germanà 

Comunemente sono detti tamburi a cornice, sebbene in base alla forma, al materiale, allo spessore ognuno di essi abbia un nome diverso. Essi appaiono per primi adagiati sulla ribalta del teatro Evolution di Leonforte nella manifestazione organizzata dall’associazione “Leonforte crea” per ricordare la professoressa Giovanna Maria a tre anni dalla scomparsa. La vista cattura lo spettatore prima del suono. L’immagine della Trinacria impressa sul bordo di un tamburo lascia presagire un ruolo da protagonista della Sicilianità. Ma ancora non se ne conoscono le sembianze. Chissà quale modo avranno scelto gli artisti per far diventare presente la memoria, così come recita il sottotitolo dell’iniziativa. Si sentono le note di We are the champions emesse dal sassofono  di Luigi Scarnato. Poi ballano le sorelle Silvia ed Elisabetta Grasso, che mescolano coreografie moderne e classiche. All’improvviso irrompe sulla scena un bizzarro dottore con la tipica maschera della Commedia dell’arte, farfuglia qualcosa in bolognese e comincia a declamare, in un modo inusitato, La Quercia del Tasso di Achille Campanile. L’effetto è straniante, come se davanti allo spettatore si dipanasse un intermezzo del teatro epico brechtiano. Finalmente cominciano a vibrare i tamburi a cornice sotto le dita agili, ora striscianti ora percuotenti di Davide Campisi. Segue la sua voce con delle filastrocche in dialetto siciliano, note ai più anziani in sala perché attinte dai loro giochi d’infanzia. E continuano a vibrare i tamburi e si uniscono  al suono inconfondibile della chitarra dell’artista Alessandra Formica, quando la sua voce diventa la regina del palcoscenico. Incontrovertibile il legame del tempo che passa con i titoli e i testi delle canzoni scelte per l’occasione: U pumu di Rosa Balistreri, Tempo e Cosa resterà, scritti da Alessandra. Mentre canta, sullo schermo appare una bambina con la sua chitarra in una piazza variopinta della sua Leonforte, da cui si deve allontanare, per inseguire sulle ali di una farfalla il suo sogno: CANTARE!
Ancora vibrazioni sul palco, ma questa volta sono quelle del marranzano in un adattamento dell’attrice Simona Adele Buscemi del brano di guerra per antonomasia, di De André, “La guerra di Piero”. Legge la poesia in dialetto catanese “Nica” di Goliarda Sapienza. È il suo modo per portare in scena la dolorosa attualità dei bambini morti in Ucraina, intrecciandola con la morte dell’amica d’infanzia della scrittrice, durante la Seconda guerra mondiale. Poi recita la poesia A mio padre di Goliarda, ed è un susseguirsi di evocazioni di vita siciliana con i Pupi, Sant’Agata e le luci rosse di San Berillo. Sotto lo scroscio degli applausi, il bravo presentatore, Giuseppe Oriti rivela che era stata Simona Adele a indossare la maschera del dottore bizzarro. A questo punto una massaia d’altri tempi guadagna il palco, dispiega il suo fagotto e comincia a impastare il pane e poi a danzare, quasi fondendosi con la farina. È Alessandra D’Anna, che ha scelto un rito della Leonforte dei suoi nonni per consentire alla tradizione di diventare presente. La Trinacria impregnata di sicilianità trasuda dalle esibizioni degli artisti, ma il modo in cui il loro talento arriva agli spettatori è magico. Sembra quasi che la Gorgone abbia spezzato le spighe dorate che imprigionano i suoi capelli- serpenti, lasciandoli liberi di inseguire mete sconfinate, incerte, straordinarie.
Ma non è finita! Sulla ribalta appare Giovanna Maria che passeggia appoggiandosi a un bastone. È un video registrato sullo stesso palco rosso qualche anno fa. Un’altra scossa per lo spettatore! Poi il ricordo diventa presente negli aneddoti raccontati da Enza Barbera e Angelino Parano, nonché da Alberto Maria, suo nipote, ideatore della serata. Egli ha portato in scena la cultura nelle sue molteplici sfaccettature e ha così donato un alito di vita alla zia, che di cultura ha vissuto e continuerà a vivere.