de Il Tavachino
Sono in tre. Il più giovane è sui quaranta anni, il più anziano supera i settanta. Li incontriamo per caso, all’ingresso nord del paese, laddove il Principe Nicolò realizzò uno dei giardini più intriganti e forse più misteriosi del XVII secolo in Sicilia. Sono piemontesi. Partiti da Trapani,devono raggiungere Messina in bici. Giorni di fatica farciti però da grandi emozioni. Il loro road book prevede la scoperta di una Sicilia insolita, fuori dai circuiti turistici tradizionali. Hanno percorso delle strade provinciali che da Calascibetta conducono a Leonforte. Sanno di avere sfiorato la Riserva Naturale dell’Altesina e sono rimasti incantati dal paesaggio naturale.
La nostra soddisfazione viene però gelata da alcune loro considerazioni. In un incrocio hanno notato un bevaio, segnato nelle loro carte, purtroppo senza acqua e ricolmo di una montagna di rifiuti. (Erbavusa, pensiamo noi). Avevano previsto inoltre di visitare il “Sill basaltico di contrada Vignale”, geosito di interesse scientifico mondiale. Stranamente non l’avevano trovato perchè nessun cartello lo indicava. Ed ancora, attraversando un ponte, tipico del Ventennio (Ponte Noce, pensiamo noi), con grande stupore avevano notato quanto sporca e schiumosa fosse l’acqua che vi scorreva sotto. La chiacchierata si svolge nel desolato slargo antistante la Crucidda , la quale non suscita per niente il loro interesse. Nel tentativo di risollevare l’orgoglio leonfortese,li accompagniamo al cospetto della Granfonte.
La reazione è di stupore e di meraviglia. L’avevano vista in foto, ma “di presenza” è un’altra cosa. Abbozziamo un minimo di descrizione e nel volerne citare la data di edificazione ,con la coda dell’occhio cerchiamo l’aiuto del cartello turistico. Tentativo infruttuoso : non c’e’ più traccia della tabella che ne certifica la data. Piazza Sottana per fortuna si presenta pulita, anche se priva di alcun abbellimento. La sorpresa dei nostri ospiti si amplifica al cospetto della Fontana delle Ninfe, sebbene ci chiedano il perché non zampilli acqua dalle fauci del leone. La tabella turistica per fortuna qui c’è ,come anche un custode che fa capolino da quella che doveva essere la vecchia centrale dell’acqua e, un po’ di secoli addietro, il vetusto convento dei Carmelitani. Prima di salutarci, i cicloturisti ci chiedono dove poter pranzare. La domanda è quanto mai imbarazzante. Volendo aiutarli, telefoniamo noi stessi all’unico locale aperto. La risposta è sgradevole: tutto pieno.
Si arrangeranno per strada. Nel congedarci da loro chiediamo dove andranno a dormire. “A Regalbuto”, ci rispondono, “non abbiamo trovato altro in zona”. I cicloturisti si rimettono in sella lungo la via che li porterà all’interno del paese. Non sapremo mai quali saranno stati i loro commenti. Rimasti soli,ci sentiamo osservati. Percepiamo una presenza che sa tanto di antico e forse di nobile. Nicolò Placido realizzò quel sogno che aveva popolato le sue notti palermitane. Cercò, riuscendoci, a creare dal nulla una città ideale dove la bellezza si coniugasse con lo spirito e la natura generosa potesse offrire benessere e ricchezza. Il giovane rampollo dei Branciforti infatti, cresciuto nel palazzo di Seralcadi a Palermo sotto tutela degli zii Beatrice Branciforti e Don Federico Spatafora conte di s. Filippo d’Argirò, , volle emulare e forse superare con il suo Grande Giardino Monumentale la raffinata ed esoterica Villa di San Michele a Cammarata , realizzata dal secondo marito della madre, Ercole Branciforti. Dopo quattrocento anni, saremo capaci di custodire nel migliore dei modi la sua illuminata eredità culturale e spirituale?
Se vogliamo progredire, non dobbiamo ripetere la storia, ma fare storia nuova. Dobbiamo accrescere l’eredità lasciataci dai nostri avi.
Mahatma Gandhi
Dedicato ai futuri amministratori di Leonforte.