Riprendiamo con piacere il pezzo pubblicato da Massimo Balducci sul “sito delle Autonomia locali”, scaricabile a questo link:

Un’occasione da non perdere per modernizzare la governance finanziaria

E’ in corso una dura polemica tra il governo e le opposizioni (queste sostenute dall’apparato amministrativo) sul versante del rapporto fisco/contribuenti. Questa contrapposizione può essere riassunta  schematicamente come segue: il governo vorrebbe allentare la pressione dell’agenzia delle entrate perché sostiene che i contribuenti sono vessati, mentre l’opposizione (sostenuta dall’apparato amministrativo)  sostiene che allentare la presa dell’agenzia delle entrate significherebbe favorire l’evasione. La contrapposizione tra il governo e le opposizioni  resta nel vago perché non tocca il vero problema. Se si analizza scientificamente il problema è facile rendersi conto che ambedue le parti hanno ragione ed ambedue le parti hanno torto. Riassumerò qui l’analisi fatta in un mio libro di recente pubblicazione (M. Balducci, Un gatto che si morde la coda, ovvero le riforme della pubblica amministrazione- analisi e suggerimenti, Milano, Guerini, 2023).

La radice del problema sta nella natura ibrida della nostra contabilità pubblica che è fondamentalmente giuridica (registra cosa si deve pagare e cosa si deve riscuotere) e tralascia di tenere sotto controllo i flussi reali di cassa (cosa effettivamente si paga e cosa effettivamente si riscuote). Anche se nel tempo sono stati introdotti vari accorgimenti per tenere sotto controllo il cash flow (tra questi la Tesoreria Unica) il meccanismo di fondo resta giuridico-legale e gli accorgimenti introdotti nel tempo non riescono a risolvere il problema di fondo.

Nel caso che ci interessa qui è significativo il termine tecnico che viene usato, nel ciclo del bilancio, per identificare la previsione di entrata. Orbene nella nostra contabilità pubblica la previsione di entrata viene qualificata come accertamento anche se è ovvio che nulla è meno certo di una previsione. Perché questa stranezza linguistica? La risposta è semplice anche se dirompente: le cifre stimate in entrata seguendo la normativa amministrativa vanno considerate come certe e, pertanto, possono essere spese, indipendentemente dal fatto se siano state riscosse o meno! Quando la nostra agenzia delle entrate dichiara che viene accertata una evasione di 100 miliardi di euro in effetti dichiara che era stata stimata una entrata di 100 miliardi che non ha avuto luogo. C’è poco da meravigliarsi se l’Agenzia delle Entrate riesce a recuperare solo il 7% dell’evasione “accertate” cioè “stimata”.

Non è qui il luogo per spiegare questo assurdo (che quando fu introdotto, negli anni ‘80 dell’800 da Crispi, aveva una sua ragion d’essere) quanto piuttosto di descrivere due meccanismi che questo assurdo si porta dietro. Il primo meccanismo riguarda il fatto che in fase di redazione dei bilanci preventivi si è portati a sovrastimare le entrate, in modo da poter avere maggiore spazio di manovra sul versante della spesa. Il secondo meccanismo riguarda il funzionamento degli strumenti incentivanti la produttività degli operatori dell’Agenzia delle Entrate. Tali meccanismi sono basati su obiettivi di recupero dell’evasione calcolata, si badi bene,  sulla base dell’accertamento cioè di una stima più o meno aleatoria, stima che, essendo accertata (ma non provata) diventa certa per chi è chiamato a pagare, anche se non vi è alcuna evasione. L’operatore dell’agenzia delle entrate è più che motivato ad “accertare” dell’evasione anche se la prova di tale evasione è evanescente. A questo meccanismo infernale si deve aggiungere lo strumento della compliance, termine che dovrebbe vincolare il controllore e il controllato alla verifica del rispetto di certe norme. Orbene la compliance fiscale nel nostro ordinamento significa che il presunto evasore, se accetta l’accertamento (alquanto improbabile) si vede il suo debito ridotto mentre, se osa opporsi, deve comunque pagare tutto sperando in un recupero chissà quando.

L’ISTAT ci dice che l’evasione fiscale in Italia esiste. Non è comunque con questi marchingegni che la si può stanare. Questi marchingegni, del resto, non solo non favoriscono la lotta all’evasione, ma rendono molto problematica la governance finanziaria di tutti gli enti pubblici, dallo Stato agli enti locali. Una volta che una entrata è stata accertata, di fatto può essere spesa anche se non riscossa. Il controllo della spesa pubblica resterà una lotta vana se non si pone rimedio a questo vulnus originario. Per non parlare dei ritardati pagamenti che la UE ci rimprovera continuamente. Al momento di pagare ci si rende conto che i soldini necessari non sono entrati in cassa anche se la loro entrata era stata accertata. Per quanto attiene l’aspetto esclusivamente fiscale c’è un provvedimento che dovrebbe essere preso immediatamente: legare i meccanismi incentivanti la produttività dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate al riscosso e non all’accertato.

Da un punto di vista più generale, il problema della contabilità pubblica è forse il più importante problema della nostra macchina amministrativa anche se il PNRR glissa su questo aspetto. Il  problema non può essere ignorato indipendentemente dal PNRR. Dallo scioglimento di questo nodo gordiano dipende, tra l’altro, la reale applicazione della contabilità per missioni così come prevista dal Dlgs 118/2011 per il comparto Regioni (e quindi Sanità) ed enti locali, dal Dlgs 91/2011 per il comparto Stato ed Enti centrali e dal Dlgs 18/2012 per il comparto università e ricerca.

Per chi volesse approfondire le tecnicalità di questa problematica rinvio al mio recente M. BALDUCCI, Un gatto che si morde la coda ovvero le riforme della pubblica amministrazione – analisi e suggerimenti, Milano, Guerini, 2023

Massimo Balducci