di Valentina Rizzo

In Italia nell’ultimo anno abbiamo parlato in maniera diffusa e traboccante solo di due libri: “Spare”, il libro del principe Harry e “Il mondo al contrario” del generale Vannacci.

Forse abbiamo più di un problema nel mondo della cultura.

Perché se il primo non fa male a nessuno, il secondo rappresenta un abominio del pensiero razionale e uno spreco enorme dal punto di vista ecologico.

Provando a guardare al fenomeno con un esercizio di pensiero laterale potremmo dire che se avessimo fatto un buon lavoro a divulgare le riflessioni di Napoleone Colajanni, le conferenze di Guido Barbujani, la lettera al papa di Francesco Remotti quello non sarebbe il primo libro nella classifica di Amazon.

Il punto però è ancora un altro. Anche perché non è possibile smontare teorie bislacche con strumenti del pensiero razionale, non mi ci metto neanche, non sono mai stata un’amante del fantasy.

Il punto non è cosa uno come Vannacci pensa ma che lo scriva e lo pubblichi da solo e che la distribuzione avvenga su una delle piattaforme di e-commerce più grandi al mondo, Amazon!

Da poco tempo a questa parte un colosso come Amazon non dà solo completa soddisfazione a ogni pulsione d’acquisto ma dà forma ai tuoi pensieri, qualunque essi siano rilegandoli con copertina rigida e facendoti ricavare anche un discreto guadagno.

È il capitalismo bellezza! Tutto è concesso, senza mediazione e distruggendo completamente la filiera editoriale, ecco a voi una scena più thriller dei gialli scandinavi, ma con finale prevedibile.

Ora, non intendo certo dire che le case editrici siano tutte degne di capolavori, ma posso con sicurezza affermare che c’è una presa di responsabilità condivisa, che parte dall’autore, al correttore di bozze, all’editor, alla distribuzione alla libreria che sceglie di vendere o no un titolo.

Avere più passaggi prima della pubblicazione rappresenta una garanzia maggiore, e già così abbiamo titoli sul terrapiattismo, figuriamoci cosa succederà al mondo quando la frizione accidentale di due neuroni diventerà un best seller.

La summa delle questioni non finisce qui, perché Tik Tok, il notissimo social frequentato soprattutto dai giovanissimi, che ha incrementato notevolmente la vendita di alcuni titoli per ragazzi dal 2021, grazie all’hashtag #booktok, ha registrato un marchio editoriale, quindi presto sarà un competitor di dimensioni galattiche che risponderà unicamente a una domanda: soddisfare le pulsioni dei pubblico dei più giovani.

La partita quindi sarà tutta giocata nel cyberspazio, nessun compromesso, nessuna forma di resistenza e neanche di resilienza. Book Tok è stata (ne parlo già al passato) una interessante parentesi che ha coniugato velocemente bisogni e curiosità degli adolescenti alla letteratura ma senza la mediazione delle case editrici, quale saranno i contenuti e la qualità dei titoli?

Non dico che sarà per forza una tragedia, ma tutto cambia talmente in fretta che non abbiamo mai tempo per parlarne o lo facciamo quando è troppo tardi.

Quindi non si tratta poi tanto, credo, di scegliere di non vendere un libro, che per altro si vende benissimo senza le librerie, anzi arriva in 24 ore e con lo sconto!, ma di rivendicare un metodo. Non si tratta di non vendere il libro di Vannacci ma di esporre “Un grosso sbaglio, l’idea occidentale di natura umana” di Marshall Sahlins.

Si tratta, allora, di scegliere le librerie perché non sono quei posti dove il mercato dei titoli è infinito ma luoghi dove farsi un’idea del mondo, scambiarsi opinioni e perfino cambiare idea: come dice Aby Warburg “il libro di cui hai bisogno si trova accanto quello che cerchi”.

Il nostro Paese pubblica circa 70.000 libri l’anno (capite anche quanto è difficile avere un’idea seria su ciò che si sceglie da esporre), all’incirca come la Germania, che però ha lettori per circa 5 volte l’Italia (fonte AIE), allora quale potrebbe essere il punto di vista da adottare? Non cosa non dobbiamo ma cosa dobbiamo leggere e come.

Da un momento di crisi si ha sempre l’opportunità di riorganizzarsi e trovare soluzioni alternative, scegliendo di essere individui sociali e relazionali possiamo ancora cambiare qualcosa ritagliandoci degli spazi interstiziali nel mondo del consumo, portando i valori dell’umanesimo in una discussione tra due che affogherebbero gente in mare, leggendo il giornali, lottando per e non contro qualcosa.

Scegliamo un’altra direzione da seguire?