“Kalasìa. Le parole contro il potere di Vincenzo Consolo”. Questo il titolo del libro che l’editore Mimesis pubblica nella collana “Sguardi e Visioni” diretta da Francesca Adamo (136 pagine, 14 euro).

Il volume è curato da Concetto Prestifilippo. Al suo interno un racconto fotografico di Giuseppe Leone di rara intensità, una serie di ritratti dello scrittore di Sant’Agata di Militello scomparso a Milano nel gennaio del 2012.

Kalasìa è un termine dialettale raro e tipico di Sant’Agata di Militello, è una parola che Vincenzo Consolo amava particolarmente. Proviene dal greco e sottintende una memoria antica della bellezza. Il volume raccoglie alcune interviste rilasciate da Consolo a Concetto Prestifilippo tra il 1992 e il 2011.

A distanza di anni, la rilettura di questi articoli colpisce per l’analisi lucida, a tratti spietata, di alcuni momenti epocali della storia repubblicana. Gli interventi dell’autore di “Retablo” sono privi di diplomazie linguistiche, non operano sconti a nessuno, dettato esplicito che Consolo ha pagato duramente.

In coda al volume una serie di saggi firmati dal curatore e un racconto inedito di Consolo. Il prezioso inedito è dedicato a un tema ricorrente in Consolo e quanto mai attuale: il Mediterraneo e la tragedia dei migranti.

Gli articoli proposti non seguono una sequenza temporale, segnano piuttosto fasi e temi di intervento. L’intento è quello di tratteggiare la figura di un raro intellectuel contre. Se uno scrittore non si schiera contro il potere, in opposizione a ogni egemonia, predominio, supremazia, rischia di trasformarsi in cortigiano untuoso, mieloso inserviente. Era questo il suo continuo ammonimento.

Le interviste raccolte nella sezione “La spada di Courier” sono un ovvio rimando al suo maestro Leonardo Sciascia. Scrittore del quale Vincenzo Consolo fu il vero erede morale. Il valore fondante della scrittura consoliana era quello contenuto tra le pagine del libro di esordio di Sciascia, Le parrocchie di Regalpetra: “Bastava un colpo esatto di penna a ristabilire un diritto, a fugare l’ingiustizia e il sopruso (…)”.

L’autore de “Il sorriso dell’ignoto marinaio” aveva scelto la scrittura di intervento sui giornali per esercitare il suo ruolo di intellettuale gramscianamente non indifferente.

“Vincenzo Consolo non esercitava diplomazie linguistiche, non operava concessioni, non salvaguardava potentati, non blandiva accademie – Si legge nella nota introduttiva al libro –  I suoi interventi potevano irritare, non essere condivisi, ma erano sempre onesti, coraggiosi, puntuali. Consolo ha pagato questo continuo dettato esplicito, ha scontato duramente la sua perenne sottrazione, la disobbedienza, la mancata esposizione televisiva. Rimangono però i suoi libri e appaiono oggi ancor più inattaccabili”.