di Luana Ninfosi

Un viso dolce e candido come una bambina. La determinazione verso un futuro brillante. La semplicità dell’essere donna acqua e sapone. Senza fronzoli. Perché una donna non può essere autonoma? Perché non può avere spirito d’impresa? Perché se madre non può lavorare come un uomo ed essere indipendente alla pari? Perché le nostre scelte devono essere sempre condivise o condizionate? Essere donna è saper portare la gonna come i pantaloni. Non è certo ciò che dovrebbe delimitare o limitare il nostro essere.

Diteci, come dobbiamo difenderci? Siamo donne ed evidentemente è un problema. Ci troviamo a dover battagliare per i diritti e la parità di genere in un paese dove il sistema patriarcale non è mai stato debellato. Diteci come difenderci, perché siamo donne e per noi non è un problema.

In questa società ci massacrano e non va data sempre la colpa alle patologie psichiatriche! Questo ragazzo, l’assassino di Giulia, ha pensato al coltello. Ha occultato il cadavere. Ha organizzato una fuga. Noi donne siamo fragili, ma la debolezza non ci appartiene. Abbiamo però il viziaccio di sopportare. “Non fa niente”. “Passerà”. “È geloso quindi innamorato”. È così finisce sempre che ci perseguitano, ci picchiano, ci limitano nella libertà, ci ricattano nella quotidianità, utilizzando modi e tecniche dov’è sanno di poter colpire.

Si manifestano su tutto: sugli amici, la famiglia e talvolta sui figli, divulgando le nostre foto/video o fatti privati facendo leva del ricatto. Succede. Capita. Cosa dovremmo e potremmo fare? Di questi presunti “bravi ragazzi”, “gentili”, “timidi”, “brave persone”, ne vogliamo parlare o no?? Ebbene, scendere in campo solo il 25 novembre non ha senso!!!

La violenza è tutti i giorni. Non è solo il 25 novembre, anche se quest’anno è più insanguinato che in passato. La violenza si manifesta in modi più o meno subdoli. In modi paralleli di cui nessuno dall’esterno potrebbe mai sospettare. Ma non può e non deve ogni volta scapparci il morto! La violenza è così. Inizia con poco. Critiche su come ci vestiamo, come ci atteggiamo, come ci trucchiamo. La troviamo ovunque.

Talvolta ci chiede di scegliere tra gli amici o addirittura la famiglia, ci isola dal mondo, entrando in un circolo vizioso dove le richieste sono sempre più alte, un pezzettino per volta, fino a toglierci la nostra identità. L’elenco delle vittime quest’anno sembra non avere fine. È un problema culturale. I dati parlano e sono impietosi. Non pregiudizi ma statistiche. Diteci, come possiamo difenderci? Se oggi gli insegnanti, anziché essere appoggiati dalle famiglie – quando cercano solo di compiere il loro dovere educativo – vengono aggrediti per una nota, un brutto voto o un osservazione sul figlio?

Diteci: quando i nostri figli escono di casa esattamente come dovrebbero e di riflesso come dovremmo comportarci? Diteci: come far accettare o digerire un no, come gestire una delle tante emozioni a chi ci sta di fronte senza essere aggredite, picchiate, umiliate, perseguitate o ammazzate.

Soffro e sono delusa, anche arrabbiata per come lascio oggi non stiamo affrontando il problema ma ci giriamo solo attorno, e così un po’ tutti; forse è paura, forse vergogna… Vorrei poter urlare quello che ho dentro ed essere abbracciata piuttosto che giudicata, vorrei poter tagliare i ponti senza essere aggredita ma capita. Vorrei poter scappare per avere una nuova vita libera e spensierata senza dover per forza essere incastrata. Vorrei potermi lasciare andare, guardarmi allo specchio e poter asciugare le lacrime invisibili del cuore. Che un “va tutto bene”, “non ti preoccupare” vale di più di un “devi stare solo zitta” e “non ti devi permettere”. E vorrei che nella società esistessero genitori più empatici, più autentici.

Tutto sommato, però, ci accontenteremmo di poco. L’importante sarebbe ci siano e che siano presenti. Che non ignorino il problema. Che non diano sempre la colpa agli altri. Non c’è colpa peggiore dell’essere ignorante (e non parlo di istruzione scolastica). La morale non ha nessuna laurea, né i valori, i principi e l’umanità. Perché a me fa male. A me brucia come se fossi io, come se Giulia fosse mia sorella, la mia compagna di scuola, la mia collega di lavoro. È un’altra vita spezzata da chi giurava amore.

Ma questo, visto il risultato, amore non è.

La foto sotto è quella delicata, semplice e al tempo stesso incredibilmente esplicativa e attuale, scelta l’anno scorso da don Fortunato Di Noto per il messaggio dell’associazione Meter in occasione del 25 novembre.