di Francesca Maria Germanà

Un anniversario importante celebrato nei giorni scorsi, quello dell’uccisione di J.F.Kennedy, ci riporta alla mente le frasi da lui pronunciate, diventate spesso motto, emulandole, parafrasandole e riadattandole ai fatti di cronaca. Ich bin ein Berliner, (Sono un Berlinese) gridava Kennedy all’indomani della costruzione del Muro di Berlino. Je suis Charlie gridavamo noi all’indomani dell’attacco terroristico alla redazione del settimanale parigino Charlie Hebdo. Io sono Giulia, gridiamo noi oggi, dopo la cruenta uccisione di una ragazza con questo nome, la cui morte non lascia i nostri pensieri, neanche per un attimo. Un nome molto amato da noi Italiani, tanto da essere, qualche anno fa, in vetta alla classifica dei nomi scelti per le neonate. La musicalità, l’armonia, la dolcezza che il nome emana al momento in cui lo pronunciamo, ben si adattano al sorriso, allo sguardo, al carattere della sfortunata Giulia, che abbiamo imparato a conoscere nelle due ultime settimane.

Tutti vorremmo fare qualcosa per lei. Vorremmo dare il nostro contributo, affinché la sua morte diventi uno spartiacque tra un prima intriso di prevaricazione, rancore, violenza contro le donne e un dopo ricco di apprezzamento, valorizzazione e accettazione delle qualità delle donne. Di modo che il dopo non continui a essere una lotta impari, in cui l’uomo si accaparri la vittoria, pensando che gli spetti, bensì un dopo senza lotte, in cui possano convivere le peculiarità delle donne accanto a quelle degli uomini. Deve cambiare la prospettiva dalla quale vengono guardate, osservate e giudicate le donne. Deve prevalere la volontà di affrontare il problema della reiterata violenza sulle donne, senza più rinviare, giustificare, tacere. Non basta trovare dei responsabili generalizzati, come la scuola, la famiglia, la società, se poi noi ci tiriamo fuori da questi contenitori, oppure ci collochiamo arbitrariamente nella parte sana di essi, lasciando ai devianti la parte marcia. È, invece, necessario cominciare a dire io sono la Scuola, io sono la Famiglia, io sono la Società  e mi impegno affinché io possa vivere nella scuola migliore, nella famiglia migliore, nella società migliore, perché esse mi riguardano e io, seppur piccolo granello di sabbia, sono indispensabile per il raggiungimento di risultati vantaggiosi per la comunità intera.

È ancora il Presidente americano scomodo che ci viene in soccorso: Non chiederti cosa l’America può fare per te, ma cosa tu puoi fare per L’America. Convinciamoci che ognuno di noi può fare qualcosa per Giulia, nella propria scuola, nella propria famiglia, nella società in cui vive. Non vengono richieste competenze specifiche, ma solo l’umiltà di interrogarsi su ogni proprio comportamento, analizzando il lessico usato, soffermandosi sulle azioni svolte, dubitando degli stereotipi annoverati nella consuetudine e nella normalità. Liberiamoci da quel modo di dire che noi Siciliani conosciamo bene: dicchi è munnu, è munnu, ha statu sempri accussì!  Basta assuefarci alla ineluttabilità degli eventi! Cambiamolo questo mondo!