di Adelina Cavaleri 

NICOSIA – E’ andato in scena il primo dei quattro appuntamenti della stagione teatrale nicosiana della Rete Latitudini. Un primo spettacolo già denso di emozioni ha affollato la platea del Cineteatro Cannata per Eurydice, prodotto dalla Compagnia dell’Arpa, drammaturgia delle due registe Filippa Ilardo e Elisa Di Dio. Quest’ultima poi interpreta anche la protagonista. E’ una rivisitazione del mito classico di Orfeo ed Euridice. Un dramma ambientato sulle sponde dell’Acheronte, che reinterpreta una delle storie più celebri della mitologia greca, riproposta in una nuova chiave di lettura, moderna e audace.

Un inno all’amore raccontato con un linguaggio contemporaneo, appassionato e tenebroso. Questo amore tra la ninfa e il poeta sembra quasi indissolubile, inarrestabile. Perchè “anche senza un corpo da amare, esiste l’amore”, come racconta la compagnia dell’Arpa. Orfeo, interpretato da Davide Campisi, con la sua musica e le sue parole riesce a sedurre uomini, animali e perfino gli dèi. Con la semplicità e tragicità dei suoi versi scuote, appassiona, commuove, tocca l’animo e le fibre di chi ha modo di ascoltarlo.

Vince ogni ostacolo, cantando il suo amore per Eurydice, intrepretata come detto da Elisa Di Dio. E chiede che gli venga data la possibilità di continuare a vivere con lei. Gli dèi Ade e Proserpina, interpretata da Adriana Lunardo, esaudiranno il suo desiderio. Ma a una condizione: lui andrà avanti, lei lo seguirà, e Orfeo non potrà mai girarsi indietro, perché altrimenti Eurydice tornerà per sempre tra le ombre dei defunti.  Il finale, amarissimo come ogni tragedia che si rispetti, vede Eurydice comprendere che non è quella la strada da seguire ed esorta Orfeo a lasciarla libera, guarendosi da queste pene d’amore che lo costringerebbero a vederla non come una sposa ma come un oggetto da ammirare fanaticamente.

Una reinterpretazione quasi realistica dell’amore malato, che ritroviamo in tante storie dei giorni nostri. Apre a nuove interpretazioni contemporanee, lasciando spazio a quel velo di malinconia, di ciò che poteva essere e invece è stato frenato.