di Raimondo De Francesco Di Blasi

Il libro affronta diverse tematiche ed offre diverse chiavi di lettura. Il racconto delle vicende del prof. Antonio Castellani, un protagonista assoluto del suo tempo e dei suoi spazi, quello accademico e quello politico nel suo vasto feudo, offre occasione per riflettere anche su ciò che il fascismo ha lasciato in eredità al nostro Paese, e sull’effettiva innocenza delle classi dirigenti che per decenni si sono avvicendate nel mito della democrazia e che s’illudevano in tal modo di essersi riscattate dal peccato originale della dittatura. Come ci si riproduce al momento della nascita in tutte le specie, così pure le istituzioni e i regimi si perpetuano: una nuova creatura nasce da un’altra, anche se può accadere che in apparenza ad essa in niente esse si somiglino.

Ogni cosa si origina da un’altra, come ogni essere umano si origina da un padre e da una madre. Il rinnegare le proprie origini, il non accettarle, è fonte di dolore, e conduce all’incompiutezza. In breve, arriva per tutti il tempo in cui ci si confronta con la propria madre o il proprio padre. E allora si è costretti a prendere atto degli inevitabili condizionamenti. Ma non sempre si è capaci di elaborare soluzioni di autonomia, se non di contrasto, pervenendo tuttavia nella maggior parte dei casi ad una piena maturità e ad una consapevolezza del proprio valore e dei propri valori.

Ciò vale per gli umani, ma vale anche per le entità politiche cui gli uomini danno vita. La domanda che il libro impone è: l’Italia, questa repubblicana, può veramente definirsi democratica e libera dalla cultura, o subcultura come intendere si voglia, inculcata a suo tempo dal regime fascista? O la nostra Nazione si è limitata a rivoltare lo stesso cappotto, secondo le esigenze imposte dalle idee correnti, ora autoritarie, ora libertarie e garantiste? Il prof. Antonio Castellani incarna perfettamente questa realtà e questi problemi. Opportunista il più delle volte, ma talora feroce nella difesa delle sue prerogative e del suo tornaconto personale, non si è fatto scrupolo di cedere al delitto, sempre però ammantandosi di candore, come solo il più cinico dei politici riesce a fare. Il suo dramma si rivela nel momento in cui scopre di chi è figlio, vale a dire del duce, e a chi è perciò debitore della vita.

Una vera sciagura, che lo costringe per la prima volta a fare i conti con se stesso, nella consapevolezza che quell’uomo che sempre aveva disprezzato come il nemico immondo è in realtà presente nei suoi pensieri, nei suoi tratti caratteriali, nella sua indole, in breve nel suo sangue e nelle sue ossa. A dispetto della scioltezza e fruibilità della forma, le occasioni di riflessione sono molteplici. E spesso inducono ad una visione pessimistica della nostra storia recente e della nostra società. Ma con una consapevolezza finalmente matura, per quanto cupa. A meno che non si voglia continuare a mentire a noi stessi