di Maria Rosa Emma

La senatrice Liliana Segre con la sua tenacia di testimone, con questo meraviglioso libro è in grado di guidarci attraverso un universo nero di emozioni e paure che i libri di storia non  ci trasmettono.

Nel 1996 l’Italia contava 90 sopravvissuti ancora in vita, nel nostro paese.

Molti non hanno mai raccontato in pubblico il loro terribile vissuto poiché non riuscirono a rievocare la Shoah davanti a una platea o una telecamera.

Anche la Segre ha faticato prima di trovare il coraggio di raccontare, ripiegata su sé stessa, non ne parlava neanche con i figli. Fino al 1990 ha taciuto per poter costruire dal nulla una vita, una serenità mutilata dall’esistenza dello sterminio, finché un giorno, decise di lavorare come testimone  per un debito verso le persone sepolte ad Auschwitz e per coloro che verranno dopo, è importante parlare di tali atrocità.

Liliana era una bambina dell’Italia Fascista arretrata.

L’8 settembre del 1943 alla frontiera con la Svizzera, dopo un fallimentare tentativo di fuga verso la libertà, fu imprigionata al San Vittore di Milano.

Il 30 gennaio del 44 di caricata in un convoglio per Auschwitz.

Sulla Judenrampe fu passata la prima selezione, aveva tredici anni, sarebbe dovuta andare direttamente al gas insieme alle altre bambine, ma era alta, sembrava adulta.

Assegnata come operaia alla fabbrica Union, ha lavorato al chiuso, preservata dagli inverni polacchi che uccidevano con la stessa crudeltà delle SS.

Poco prima della liberazione dal campo da parte dei russi, il 27 gennaio fu trascinata con altre masse di prigionieri lungo “la marcia della morte”, corteo di esseri umani annientati, allo stremo delle forze, trasportata da lager a lager, di notte perché il mondo non sapesse.

Malata, 32 kg di peso, liberata nel circondario di Ravensbruck, il 1 maggio del 1945.

Il 31 agosto del 1945 torna a Milano, sopravvissuta al ”muro di gomma”, al disinteresse, al senso di fastidio che per anni in Italia ha circondato i superstiti dello sterminio.

Oggi ha un matrimonio felice, tre figli e tre nipotini.

“Milioni di volte mi sono chiesta perché sono sopravvissuta, non c’è una risposta, potrei dire che Dio mi mise una mano in testa, ma perché a me si e alla compagna che mi dormiva accanto no?”.

La Segre ha la capacità di parlare per ore e non stancare mai il pubblico, sembra una magia.

Leggi razziali dell’Italia di Mussolini del 13 settembre 1938:

Articolo 2 alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studenti è riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica. Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista.

La prima di una serie di leggi che spogliano gli ebrei italiani di ogni diritto civile e politico.

Vietato studiare, insegnare, sposarsi con persone di razza Ariana, possedere immobili, aziende oltre un certo valore economico, lavorare nella pubblica amministrazione, nelle banche, assicurazioni, prestare servizio militare.

Gli Ebrei italiani rappresentavano l’uno per mille della popolazione, molte delle quali radicate in Italia da secoli, alcuni reduci della grande guerra e fascisti, diventano tutti di razza inferiore, peso sociale da relegare ai margini.

Il sistema di norme antiebraiche si rivela più articolato e persecutorio di quello Tedesco, lo sostiene lo storico Michele Sarfatti nel saggio “Gli ebrei negli anni del fascismo”

È falso affermare che il nostro sia stato solo un  “razzismo di operetta” annacquato, roboante, di acrobatiche giustificazioni concettuose e fondazioni pseudo- scientifiche (le teorie di eurogenetica ad esempio basate sul mito della pura razza italica Ariana).

Dall’ottobre del 1943 a febbraio 1945 furono deportati 7000 ebrei italiani, 5969 uccisi e 837 sopravvissuti, un migliaio dispersi.

Nel 1938 nessuno pensava che le leggi razziali avrebbero portato a una tale catastrofe.

Una povera bambina di famiglia borghese, che non ha mai frequentato una sinagoga, cosa può percepire di questo sinistro ingranaggio?

Nel 2024 c’è ancora chi ostenta apologia al fascismo con braccio destro in alto ed elogi per il duce, io inorridisco, detesto il fascismo e auspicherei pene più severe per tutti gli adepti.

La nostra costituzione è antifascista nell’anima, proclama una serie di diritti fondamentali inviolabili, come il diritto al voto, pluralismo dei partiti, divisione dei poteri dello stato.

Negli anni 90 Franco Fasano cantava: “Non facciamo l’errore di parlare di razze come con gli animali, di pensare sbagliando di non essere uguali…

Nel 1938 Liliana Segre ha solo 8 anni, di  famiglia ebrea laica e agnostica, non aveva ricevuto nessun insegnamento religioso in casa, quando il padre le comunicó che non poteva più frequentare.la scuola pubblica lei chiese: “Perché?  Cos’ho fatto di male? Sentendosi colpevole di una colpa  sconosciuta.

75190 numero tatuato nel braccio, nella mente e nell’anima, rappresenta la vergogna spaventosa di chi l’ha influsso e l’onore di chi lo porta senza mai avere prevaricato nessuno per sopravvivere.

La neve di Auschwitz era grigia, le fu subito spiegato: “C’è la cenere, non vedrete più molte persone perché sono già passati per il camino, sono cenere nel vento di Auschwitz” parole rimaste come litania nella mente della Segre.

Liliana era una prigioniera schiava, pelata, affamata, viveva in promiscuità assoluta, dormivano in 5-6 in un ripiano di tavolacci a castello, sotto cadeva di tutto, insetti nel corpo, escrementi.. gli zoccoli come cuscino per evitare che di notte qualcuno li rubasse.

“Eravamo Sticke cioè pezzi che potevano vivere solo finché in grado di lavorare”.

La sera arrivava una fetta di pane nero con un cucchiaino di margarina atteso da tutto il giorno, due volte a settimana arrivava la salsiccia con carne  di dubbia provenienza (forse umana).

i conventi cattolici diedero grande aiuto agli ebrei al contrario dei palestinesi indaffarati a costruire lo stato Palestinese (che ancora oggi non esiste) e non alzarono mai la voce contro queste atrocità.

Un giorno un comandante indaffarato a spogliarsi in fretta per mettere abiti civili, buttò la pistola ai piedi della Segre, la ragazza dapprima ebbe la tentazione di prendere l’arma e uccidere l’uomo, ma si fermò in tempo perché  la sua etica e l’amore ricevuto da bambina le  impedirono di diventare uguale agli aguzzini.

“Non si può togliere la vita a nessuno, da quel momento sono stata libera”.

Finita la guerra e la prigionia, furono accolti in una fattoria, il cibo non mancava, da 32 Kg  ne divenne 70.

Tornó in Italia, visse con gli zii, era una ragazzina grassa di 16 anni, matronale, pesante, sgraziata, rozza, non conosceva più le buone maniere, mangiava con le mani e diceva parolacce, agli abbracci il suo corpo rimaneva rigido come in bastone.

Ci sono voluti decenni dopo la guerra  prima di poter parlare della Shoah, c’era molta sordità e cecità in merito, il libro di Primo Levi “Se questo è un uomo” fu respinto da parecchie case editrici, ma finalmente nel 1958 fu tradotto in tutte le lingue ed ebbe il meritato successo.

L’incubo ricorrente del prigioniero che torna, racconta e non viene creduto.

I nazisti erano fermamente convinti che i sopravvissuti non sarebbero stati creduti da nessuno.

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono essere sedotte ed oscurate, anche le nostre” (Primo Levi).

“L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. L’apatia morale che si volta dall’altra parte”(Liliana Segre).

“Coltivare la memoria è un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo pieno di ingiustizie e di sofferenze a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza che può usare” (Liliana Segre)

“La testimonianza della Segre è patrimonio dell’umanità”.

“Senza memoria non c’è futuro”(Mattarella).

Questo libro è potente, ti apre gli occhi e ti fa vedere tutto più nitido, ti viene voglia di gridare: ”Mai piú”.