di Giuseppina Tesauro

RAGUSA – La Compagnia Godot, giunta alla diciottesima edizione di Palchi Diversi, mette in scena la commedia di Eugène Ionesco la Cantatrice Calva presso la Maison Godot dal 17 febbraio al 10 marzo (si rimanda alla locandina per giorni e orari). Un anti-pièce come la definì l’autore stesso, che già negli anni ’50 dello scorso secolo si era posto il problema della mancanza di comunicazione e della distruzione del linguaggio, temi attuali che riscontriamo nella nostra società che diventa sempre più “liquida”. La pièce teatrale è uno dei primi esempi del Teatro dell’Assurdo, vi si coglie l’ironia già dal titolo la Cantatrice Calva, che dovrebbe essere la protagonista o quanto meno un personaggio della commedia e invece è totalmente assente nella sceneggiatura. Una parodia delle convenzioni, in cui lo spettatore viene coinvolto da questa irragionevolezza che crea azioni e situazioni divertenti. Si, perché a riprova del fatto che impegnato non significa per forza noioso, in questa anti-commedia, grazie anche alla bravura di Vittorio Bonaccorso, Federica Bisegna, Alessio Barone, Rossella Colucci, Benedetta D’Amato, Lorenzo Pluchino, ci troviamo di fronte a una divertente e piacevole riflessione sul mondo di oggi.

In questa intervista doppia incontriamo i fondatori della Compagnia GoDoT: Vittorio Bonaccorso regista e attore e Federica Bisegna attrice e sceneggiatrice.

Vittorio Bonaccorso, oggi i testi impegnati e anche laboriosi da mettere in scena pagano in termini di interesse?

Se dobbiamo fare una stima in termini di numeri saremmo portati a dire di no, perché il Teatro d’autore rimane comunque un rischio, ma sei preparato a ciò. Perché tutta la storia del teatro caratterizzata da una curva ascendente e discendente, ai loro tempi  Ionesco e Beckett hanno debuttato con queste opere e non vennero capiti, ma poi il pubblico e la critica li ha rivalutati e in tutto il periodo che andò dagli anni 60 agli anni 80 circa ebbero il successo che meritavano.  ̶ Continua Bonaccorso  ̶   Nel Teatro adesso assistiamo a quello che io definisco l’inversione della punta dell’iceberg: nei tempi passati c’era il teatro che si ergeva ben visibile sopra le altre forme di arte e comunicazione, adesso ci sono i social, la tv spazzatura che hanno acquistato visibilità e sommergendo  il teatro. Quindi, questi testi pagano in termini di soddisfazione perché oggi, rispetto a ieri, il pubblico che frequentava i teatri lo devi conquistare: ed è un successo.

Federica Bisegna tu sei un’attrice con una lunga carriera alle spalle, il Piccolo Teatro di Catania ti ha vista interprete di diversi ruoli;  poi insieme a  Vittorio hai intrapreso quella che chiami: la vostra “scommessa”. Tornare a fare Teatro in questa che è la tua Ragusa. Come percepisci da attrice l’interesse del pubblico verso il teatro?

Si è vero, io e Vittorio abbiamo scommesso molto su questo nostro progetto che è la Compagnia e la Maison GoDoT, proprio per il mio voler tornare qui a Ragusa e mi sento ripagata, perché qui siamo molto seguiti e abbiamo l’attenzione del pubblico, è importante questo aspetto che riguarda l’interesse della platea verso gli spettacoli che va a vedere. È capitato che grandi attori di teatro ma anche di cinema, si sono ritrovati sui palchi a dover fare la paternale al pubblico per spiegare il “bon ton”, dovendo elencare come una specie di decalogo i comportamenti da adottare al teatro.  Ecco, secondo me bisogna chiedersi perché accade tutto ciò?  ̶   Prosegue la Bisegna ̶  Noi siamo una compagnia di attori che ci autodefiniamo semi ̶ professionisti, ma nelle nostre rappresentazioni e recite abbiamo riscontrato sempre il favore del pubblico che ci ha sempre seguiti con attenzione  durante tutto lo spettacolo: sia nei teatri al chiuso, che per gli spettacoli all’aperto. Probabilmente il pubblico è realmente presente perché riusciamo a divertire, commuovere e interessare e ce ne accorgiamo dalle loro emozioni che trapelano dalle risate, dal pianto o dal totale silenzio che domina la tensione di alcune scene. Dunque, ̶  prosegue Federica con una punta di orgoglio  ̶  ed ecco che  arrivo al punto più importante per noi, devo dedurre che se succede ciò che ho esposto prima, significa che siamo riusciti a farli entrare nello spettacolo, che alla fine è il motivo che ci dà la forza e ci sprona a salire sul palco sempre con il nostro impegno.

Da dove nasce la scelta di rappresentare La Cantatrice Calva?

Mi risponde Vittorio Bonaccorso  – La messa in scena della Cantatrice Calva era un nostro sogno che stava nel cassetto da quando, al Piccolo Teatro di Catania in questa commedia, abbiamo interpretato i signori Smith.  Come Compagnia GoDoT  abbiamo rappresentato di  Ionesco, le Sedie, e il Re muore, quindi  adesso con questa messa in scena abbiamo concluso una trilogia. Volevamo farlo da tempo, finalmente  adesso i ragazzi della nostra compagnia sono cresciuti e abbiamo deciso che  era arrivato il momento, anche perché il tema è di gande attualità. Si parla del linguaggio, della sua distruzione, dell’incapacità di parlare fra gli individui che crea a livello più alto l’incomunicabilità fra gli esseri umani, insomma quello che ormai è divenuto uno dei mali della nostra società. Purtroppo è proprio così, – incalza Federica Bisegna  ̶  il tema della incomunicabilità e della distruzione del linguaggio è un problema che riguarda soprattutto i giovani che si stanno disabituando ad usarlo.  Il linguaggio oggi è infarcito di “comunicazione” ma in realtà non è così.  Si va su un binario solitario. Ionesco già questa cosa la percepì negli anni50/ 60. La Cantatrice calva ha il potere di sottolineare, ma lo fa con ironia e comicità, che ci si riempie la bocca di vuoto, che si parla del nulla. ̶  Continua con enfasi Federica ̶  Chi verrà a vedere la Commedia si accorgerà che c’è un grosso pregiudizio verso questo tipo di teatro definito d’autore o “impegnato”, che secondo molti dovrebbe risultare pesante o poco divertente, quando invece è molto spiritoso perché la parodia ti permette di affrontare i temi importanti in modo ironico ma che lascia qualcosa al pubblico su cui riflettere. Quindi   ̶   suggerisce  l’attrice  ̶   il pubblico dovrebbe cominciare a fare discernimento quando sceglie cosa andare a vedere, non preferire solo il ridere facile o il nome altisonante  che però non propone niente di nuovo.

Come mai il nome “Palchi Diversi”?

Palchi diversi nacque per caso, ̶  ci spiega Bonaccorso  ripensando a quando diede il nome a questa Rassegna teatrale che ora è giunta alla 18esima edizione –  lo usammo come nome diciotto anni fa, quando abbiamo cominciato a gestire il Teatro di Donna Fugata ad Ibla, dove è nata proprio la rassegna. Il significato si basa sul doppio senso della parola Diversi, che stava a significare il fatto che noi cambiavamo i posti in cui ci esibivamo, dunque “diversi”  in quanto  un po’ nomadi in quei primi anni. L’ altro significato era invece dato dalla parola Di  ̶  Versi,  inteso proprio come  versi poetici. Siamo legati a questo nome perché ci rappresenta, lì c’è  il senso del nostro muoverci nella ricerca di creare una differenza, del fare qualcosa di diverso rispetto agli altri.

Prosegue Federica Bisegna   ̶   Una stagione di grande successo   è stata quella dell’estate del 2019 quando sul modello di Siracusa abbiamo riproposto al Castello di Donna Fugata due tragedie (Edipo e Medea) e una commedia (Pluto). Per noi è stato un impegno in termini di lavoro estenuante, perché le messe in scena venivano tutte e tre recitate dalla stessa compagnia, il che significava che gli stessi attori ogni sera recitavano in ruoli e con testi teatrali diversi. Per noi è stato un trionfo, in quanto si sparse la voce di ciò che stavamo facendo e il pubblico arrivo anche da Siracusa, da Noto e da Agrigento.

Voi oltre che Compagnia  teatrale, siete anche una scuola di teatro. Avete unito entrambe le cose: la scuola e l’essere compagnia teatrale

Esatto, questo è un punto, centrale e fondamentale nel nostro percorso teatrale e che fa la differenza ̶̶ afferma con molta energia l’attore e regista della Compagnia Vittorio Bonaccorso  ̶  Noi ci siamo identificati con il teatro dell’assurdo e  lo abbiamo fatto diventare il nostro marchio. Il nome stesso  della Compagnia si ispira al capolavoro di Beckett “Aspettando Godot”, con il quale ho creato l’acronimo per Gioco o divertimento o teatro: GoDoT.  Noi cerchiamo di costruire per questi ragazzi, oltre che il mestiere e la formazione soprattutto la mentalità, cioè il modo di vedere l’arte. Però bisogna stare molto attenti, ̶   qui Vittorio diventa più serio ̶   in quanto il fatto che la Scuola e la Compagnia sono assimilabili, se non sapute gestire, queste due realtà potrebbero scoppiarti in mano! Perché, quando io come Maestro mi metto sullo stesso piano dell’allievo e abbatto le barriere, se dall’altra parte non c’è una mente aperta e intelligente che capisce che  comunque io rimango sempre  il suo Maestro e i ruoli diversi  nella vita e sul palco  permangono, il rapporto potrebbe non funzionare più. Ma noi abbiamo puntato su questo modo di fare scuola/teatro e crediamo a questo tipo di modo di insegnare, perché  comunque i nostri allievi hanno mostrato sempre di capire che  ci sono i limiti.

Federica, secondo la vostra esperienza a che età, per un bambino che dimostra interesse per il Teatro, sarebbe bene cominciare ad approcciarsi a quest’arte?

Noi, in passato, avevamo sempre iniziato il nostro Corso con bambini di età di 8/9 anni. Ultimamente abbiamo notato che i bambini mostrano interesse per la recitazione già in età più precoce. Tanto che da quest’anno   abbiamo inserito la fascia di bambini che parte dai 5/6 anni, con i quali si sta cominciando un percorso preparatorio, mantenendo sempre la nostra idea di fare scuola e recitazione insieme, tanto che vengono già “buttati sul palco” a quest’età.  Ma se parliamo di costruire mentalità e mestiere riteniamo che la fascia sia intorno agli 8 anni. Tranne quei casi, dove appunto si scorge il talento, come è accaduto con un nostro allievo, Marco, che recita dall’età di 5 anni. Per esempio, ̶ puntualizza Federica autrice del testo che dovranno recitare i più piccoli allo spettacolo di fine corso   ̶   anche se questa recita sembra semplice in realtà non lo è, perché è un esercizio che serve per apprendere a mantenere il ritmo sulla scena quindi si lavora molto sul dinamismo e sulla gestualità. Ritmo che è la nostra parola chiave, in qualsiasi genere: comico, drammatico, classico, contemporaneo.

Compagni di vita, compagni di lavoro, compagni nella scena. Come la gestite questa situazione di convivenza come coppia sia nella vita che nel lavoro?

(Ridono)

Vittorio : ci sono dei pericoli  ̶  scherza  ̶  Abbiamo un’intesa e si vede. In realtà i nostri ruoli sono distinti e separati, ma  allo stesso tempo confluiscono.  Lei si occupa dei testi e dei costumi, io delle scene e della regia

Federica : A volte discutiamo, questo è normale quando si sta così a contatto nella vita e nel lavoro. Ma come dice Vittorio ci compensiamo perché siamo diversi anche dal punto di vista caratteriale. Io sono quella più loquace e mi addentro nelle discussioni, lui è quello che tira le conclusioni. Questo gioco poi lo ricreiamo sulla scena: io che parlo, lui che mi zittisce, io che prevarico, lui che non mi sopporta più, così risulta tutto naturale nelle coppie che recitiamo. Per quanto riguarda i copioni, sono autrice di alcuni che ho scritto esclusivamente per la nostra compagnia.  I testi  rispecchiano il come noi interpretiamo “il fare il teatro” e quando scrivo lo faccio pensando alla nostra  messa in scena.

Nella vostra vita il teatro quanto tempo occupa?

Rispondono insieme e senza pensarci – Tutto. Il Teatro è la nostra vita

Non avevo dubbi!