di Josè Trovato
LEONFORTE – “L’Asp di Enna ha stabilito che mia mamma non potesse più stare a Villa Maria. Sono passati due mesi e ora sta morendo. Grazie a chi l’ha dimessa, mia mamma sta morendo. A mia madre hanno tolto la dignità umana e il diritto di essere curata”. A parlare è la figlia di una donna di 91 anni, leonfortese, che il 15 febbraio scorso è stata ricoverata a Villa Maria, l’unica Rsa in provincia ad avere un modulo per pazienti affetti da Alzheimer. All’interno della struttura la donna, secondo il racconto dei familiari (e dei medici), si è ripresa. Ha risposto bene ai farmaci e l’assistenza costante di personale qualificato l’ha portata a migliorare consistentemente. Addirittura a maggio quasi camminava. Ma il 15 maggio l’Asp ha deciso di dimetterla.
La decisione
“Un medico della struttura correttamente li aveva avvertiti che sarebbe stata una tragedia, ma purtroppo non hanno sentito ragioni”, spiega la signora. “La decisione l’hanno presa il 9 aprile senza neanche visitare nostra madre davanti a noi, ma solo chiedendole come si chiamava e quanti figli avesse”. “La loro decisione è stata insindacabile: nonostante le nostre proteste, doveva lasciare la struttura. L’unica cosa che ci hanno detto è stata: “Avete trovato dove portarla?”. A quel punto mio fratello ha chiesto di visitarla, ma non hanno sentito ragioni. Doveva solo essere dimessa. Non c’era alternativa”.
Il quadro clinico
“Il tutto nonostante la nostra disperazione e nonostante le nostre suppliche: mio fratello ha pregato il medico di considerare che nostra madre è monorene, cardiopatica e reduce di un ictus, ma da lui non abbiamo percepito un minimo segno di empatia o di pietà cristiana. Ripeteva che nostra madre era guarita. Si guarisce dall’Alzheimer?”.
Da quel momento la situazione, stando sempre al racconto della signora, è precipitata. “Ci hanno detto: “Sua mamma è guarita”. Così l’hanno dimessa. Abbiamo risposto che non era giusto, che ha 90 anni, che sarebbe peggiorata. E così è stato. A maggio stava bene. Ora sta morendo. Questo perché non ci hanno consentito di mantenerla a Villa Maria”.
La casa di riposo
La casa di riposo dove la donna è stata portata, una volta che ha lasciato la Rsa, non è certo una struttura medica. Il personale è qualificato, ma non è quello di una residenza sanitaria assistita. Non ci sono medici. “Tutti molto gentili, tutti esperti nel loro compito – prosegue la signora – ma non era il loro lavoro quello di curare nostra madre”.
“La demenza, non curata, ha prodotto un’atrofia muscolare. Io vivo fuori dall’Italia, sono arrivata qui il 17 giugno, il giorno in cui nostra madre ha compiuto 91 anni. Vedevo che era irrigidita, peggiorata. Da una settimana non dormiva più, i farmaci non facevano effetto, abbiamo chiamato nuovamente il medico di Villa Maria, ma il tempo perso da maggio purtroppo è stato fatale. Ha febbre forte, una tachiardia, apnea, e ora è in uno stato soporoso da circa 7 giorni. Non reagisce più”.
L’aggravamento
Il resto è storia di questi giorni. All’ospedale di Leonforte la signora è stata sottoposta a una Tac e il quadro clinico si è aggravato. La situazione è precipitata. “Ho incontrato alcuni di quei medici e gliel’ho detto chiaramente: ‘Grazie a voi mia mamma sta morendo’. Ormai per mia mamma è troppo tardi, ma vi prego di raccontare cosa succede – conclude -, perché togliere i pazienti ammalati dalle cure dei medici provoca questo: ciò che è capitato a noi, succede e succederà anche ad altre persone”.
La dottoressa di Villa Maria
Del caso abbiamo parlato con la dottoressa Laura Gurriera, anche lei della struttura di Villa Maria, che si occupa di gestire i rapporti col pubblico e anche con i caregiver. “Per ciò che riguarda la paziente, è andata esattamente così – afferma -. È stata dimessa dal modulo, nonostante le richieste dei figli di non spostare la mamma, visti gli esiti dell’assistenza a Villa Maria e vista l’impossibilità, da parte dei caregiver, di assisterla al proprio domicilio”.
“Non è il primo caso”, continua la dottoressa Gurriera, “e davanti a certe decisioni si resta impotenti. Si resta impotenti quando un paziente, fragile e anziano, viene dimesso. E si resta impotenti e disarmati, quando un paziente con demenza, non viene fatto entrare al modulo preposto. E questo capita di sovente”.
Il direttore: ecco com’è andata
A ricostruire la vicenda dal punto di vista dell’Azienda sanitaria provinciale è per primo il direttore del Distretto sanitario di Agira, il dottore Giuseppe Bonanno. “La signora – spiega – è stata proposta per il ricovero in Rsa a febbraio, poi è stata lì per 60 giorni finché ad aprile, dopo la rivalutazione con la nostra neurologa, alla presenza del medico di famiglia, si è stabilito che risultava stabile e in stato di buon compenso”.
“A quel punto, il figlio ha dichiarato di essere l’unico presente e gli sono stati concessi altri 30 giorni per prepararsi al ritorno a domicilio – prosegue Bonanno -. Abbiamo proposto un’assistenza domiciliare integrata, garantivamo di seguirla al domicilio con l’assistenza domiciliare e la fisioterapia. Ma un paziente non può continuare a rimanere in Rsa”.
“Prendiamo atto che poi sono emerse delle patologie, ma nulla hanno a che vedere con la situazione patologica che presentava antecedentemente – sottolinea il direttore -. La Rsa non è una struttura ospedaliera ma territoriale a media intensità clinica”. “Dicono che non sarebbe peggiorata se fosse rimasta? E qual è la controprova? Purtroppo l’aggravamento di una situazione clinica a una certa età può avvenire, precipitando da un momento all’altro. Capisco che la figlia vive lontano, ma i bisogni familiari non possono gravare sulla sanità pubblica”.
“Le dichiarazioni della struttura? Noi – conclude – svolgiamo una funzione pubblica e sanitaria a favore dei pazienti. Alcune strutture, che pure sono accreditate e convenzionate, sono private e perseguono a volte altri fini che spesso non si conciliano con i nostri”.
La coordinatrice dell’assistenza domiciliare e Rsa
La dottoressa Rosalia Licciardo, coordinatrice distrettuale ADI e RSA Leonforte, dal canto suo spiega che il ricovero in Rsa viene disposto in caso di demenza certificata per trattamenti farmacologiche per cui sia previsto un piano terapeutico che possono fare solo i neurologi. “Per ogni demenza è previsto un periodo di ricovero oltre il quale non si può andare”, sottolinea la dottoressa Licciardo.
La coordinatrice spiega come funziona, parlando del caso specifico ma anche in generale. “È previsto un ricovero di sollievo che non può superare i 30 massimo 60 giorni – sottolinea – il tutto, comunque, non può superare il 12esimo mese. Al 12esimo mese li dobbiamo obbligatoriamente dimettere”.
Cosa succede dunque dopo il 12esimo mese? “Questi pazienti purtroppo tornano a casa, ed è ovvio che non possano essere gestiti dai familiari. Ci dovrebbero essere delle strutture che non siano socio sanitarie ma che siano assistenziali, per tutta la vita. Strutture che non sono una casa di riposo. E purtroppo noi questo genere di strutture non le abbiamo”.
Non le abbiamo nell’Ennese? E nel resto d’Italia? “Penso di si. Manca un’assistenza successiva alla Rsa. La Rsa parte dal presupposto che i pazienti si debbano riabilitare. Lo scopo è portare i pazienti a casa propria. Lo scopo è quello: il paziente ha la demenza, viene ricoverato 2, 3 mesi, appena si stabilizza il neurologo, la commissione, hanno obbligo di mandarlo a casa. L’obbligo della commissione è mandarli a casa”.
Nel caso specifico, l’Asp a febbraio avrebbe concesso 60 giorni di ricovero nonostante la signora, che aveva avuto un ictus, non avesse mai avuto in passato problemi di demenza. “Abbiamo ritenuto di concedere 60 giorni per sollievo familiare – afferma la dottoressa – poi la famiglia doveva adoperarsi per portare la signora a casa. Sono stati concessi altri 30 giorni. Abbiamo stilato un verbale in cui abbiamo concesso altri 30 giorni per trovare un’altra sistemazione. Ma la signora doveva tornare a casa”.
“Nonostante fosse stata portata in una casa di riposo, l’abbiamo comunque presa in carico in Adi (assistenza domiciliare integrata), poi purtroppo da quello che abbiamo saputo la signora avuto un’infezione renale, che poteva succedere ovunque, anche in Rsa, è monorene e il quadro si è complicato. Ma non è che noi ci siamo comportati bene: benissimo. Noi abbiamo interesse a fare in modo che i pazienti si riprendano. E in Rsa, se ci sono le condizioni, tutti rimangono fino al 12esimo mese – conclude la dottoressa -. Chi dice il contrario mente. Non è vero”.
La conclusione della struttura
Conclude la dottoressa Gurriera: “Credo che un diritto, ad un ammalato, non lo si possa negare. Così recita la nostra Costituzione. Non si può giocare con la vita della gente”.