di Luana Ninfosi
Per i giudici nella sentenza inflitta a Filippo Turetta non c’è “crudeltà”. Rimango basita sempre di più, nonostante la cronaca ci mostri e ci dia notizie di un escalation nei confronti delle donne (prevalentemente delle ragazze, morte ammazzate da ex fidanzati/compagni o pretendenti). Una mattanza che ha inizio da tempi ormai indefiniti, sembra che stia passando un messaggio sbagliato per la società: la donna è un oggetto che non può e non deve rifiutare l’uomo, la donna non ha diritto sul suo corpo i suoi sentimenti e le sue emozioni. Un tempo si chiamavano pure “delitti d’onore” giudicata estrema, una persona trattata come un oggetto, come una proprietà, un messaggio che dice “o con me o con nessuno”.
Mi chiedo chi vi dà diritto a spezzare una vita, a rovinarla per sempre, a decidere di quale morte morire e quale sofferenza arrecare: 75 coltellate e non c’è crudeltà? Si legge su internet (fonte corriere della sera): Le motivazioni della sentenza all’ergastolo: «Non aveva la competenza per infliggere colpi più efficaci». Escluso anche lo stalking: «Lei non aveva paura di lui». «Azione premeditata, efferata e spietata». «La logica del “o con me o con nessuno”».
Io lo leggo invece dagli occhi delle donne, ragazze o madri, la paura di perdere la vita, di sentirsi in pericolo, non tutelate nella moralità né l’integrità psico-fisica. Di uno Stato che, non tutela le vittime, non valorizza e attenua situazioni così drammatiche così spropositate. Se non avesse voluto infierire con crudeltà si sarebbe fermato. Non sarebbe “esploso” non avrebbe pensato a fuggire e far perdere le sue tracce.
Una persona che non premedita non porta con sé armi o scotch, una lite non premeditata sfocia a mani nude o con mezzi di fortuna tra le strade pronti a difendersi, ma questo Giulia non poteva saperlo. Giulia gli preparava i biscotti, Giulia lo aiutava all’università, Giulia rispondeva ai messaggi e quindi non esiste nemmeno lo stalking perché “non aveva paura”. Chissà, magari per dimostrare tale “disagio” doveva denunciare o parlare con un associazione “femminista” colorata di rosa. Oppure andare da uno psicologo-psicoterapeuta , farsi “curare” per ansia e paura dettata dalla “percezione” personale, perché Turetta un bravo ragazzo, perché incensurato, perché la sua condotta non era mai stata oggetto di giudizio o pregiudizio nel sociale. Se la fedina penale è un modo unico per dare sentenza, pensiero o tirare conclusioni sulla peculiarità dei casi, siamo troppo poco informati e troppo poco preparati.
Sarebbe il caso di iniziare a pensare (soprattutto agire) tramite istituzioni e organi di cerniera, ad educare affettivamente i nostri ragazzi in modo tale di riconoscere le emozioni, saper accettare un limite, rispettare il pensiero e la volontà altrui. Sarebbe il caso, forse, che le famiglie fossero presenti in tutti i modi, nella vita dei figli e che imparino a riconoscere i segnali di rischio. Aggiungerei anche, di smettere di agevolare nelle strutture penitenziarie la reintroduzione sociale (se non con estrema preparazione) di non minimizzare l’importanza sulle strutture REMS, di non pensarla come attenuante o come “via d’uscita” per debellare il problema o trovare soluzioni alternative “escamotage” per pene minori.
Un omicidio rimane sempre un omicidio, questo non può restare solo in mano alla Legge, bisogna avere anche giustizia affinché possa essere efficace nel collettivo almeno ridurre tali azioni e comportamenti. Se la Cecchettin fosse stata mamma, e Turetta papà, i figli sarebbero stati strumento di ulteriori ingiustizie e responsabilità. Le condotte persecutorie, il disagio, la paura, la denuncia o la non denuncia su quei bambini, si sarebbe commesso il più atroce dei delitti. Avrebbero vissuto traumi irrimediabili e irreparabili. L’abbandono delle istituzioni o una “punizione” senza fine (se non alla maggior età). Nonostante tutto questo, io credo che una parte della Giustizia ci sia e sia preparata a tali problematiche, che è capace di vedere oltre le parole e sentire al di fuori di ogni comportamento, le situazioni. Quello che mi auguro è sempre quello di trovare una preparazione adeguata su tali argomenti e questioni, che possano essere sradicate e risolte senza che nessuno debba mai morire o subire condanne “in vita” senza vittimizzare famiglie o persone coinvolte nelle storie e nei fatti, senza patirne alcuna responsabilità di ricadute, procedimenti anche fuori dalle aule dei tribunali, l’opinione pubblica è di quei giudizi totalmente impreparati e fuori luogo. Che la soluzione sia giusta e mai scontata.