Di Irene Varveri Nicoletti

Alice ed Ellen Kessler, icone del varietà italiano, sono uscite di scena il 17 novembre 2025 nella loro casa in Baviera, scegliendo il suicidio assistito. Una formula, questa, che molti troveranno più lieve del termine morte che sembra quasi stonare accanto alla vitalità delle due gemelle. Eppure, si potrebbe anche dire che “morte” è un termine da sdoganare, una parola che si è rivelata nella fattispecie gesto consapevole, estremo ma lucido, frutto di un patto che avevano siglato decenni fa: non lasciare mai sola l’altra. La DGHS, l’associazione tedesca per l’aiuto a morire, ha confermato che le due sorelle hanno affrontato l’ultima decisione con la stessa disciplina che aveva contraddistinto la loro carriera, trasformandola nell’epilogo coerente di un’esistenza vissuta in perfetta simmetria.

La loro scelta, in Germania perfettamente legale, potrebbe sorprendere o dividere l’opinione pubblica italiana, dove il tema resta delicato e spesso divisivo. Ma per le Kessler non si è trattato di provocazione, semmai di un esercizio di libertà personale, dettato dalla decisione che, al di là delle convinzioni, racconta la forza del loro legame.

D’altra parte, il mondo dei gemelli monozigoti affonda le radici in una condivisione biologica che si trasforma poi in quotidiana, segnando ogni scelta. È un rapporto non solo affettivo ma quasi cognitivo: fatto di sincronismo di pensieri e gesti e di intenzionalità condivisa, vicino alla telepatia.

Le disposizioni testamentarie delle Kessler attestano la forza di questo legame: le ceneri saranno riunite in un’unica urna, accanto alla madre Elsa e al cane Yello, mentre l’intero patrimonio sarà devoluto a Medici Senza Frontiere, a conferma di un altruismo che ha accompagnato la loro vita privata.

Oggi ricordarle è un dovere: Alice ed Ellen Kessler non furono semplicemente delle ballerine, furono un fenomeno di rottura che cambiò il volto del varietà italiano negli anni Sessanta. Il loro merito storico consiste nell’aver traghettato la televisione italiana fuori dalla sua ingenuità, introducendo standard di spettacolo internazionali e una nuova estetica femminile.

Portarono in Rai la professionalità e la disciplina apprese sui grandi palcoscenici di Parigi e Las Vegas. I loro balletti, geometrici, sincronizzati, elevarono la qualità coreografica a livelli mai visti prima. Erano l’espressione di un’Italia che guardava all’Europa, incarnando una bellezza nordica, slanciata e sofisticata ma che dava scandalo, in netto contrasto con i canoni estetici tradizionali dell’epoca.

Il loro impatto fu tale da scontrarsi immediatamente con la morale corrente. Le famose gambe, lunghe 105 cm, divennero simbolo di modernità ma anche oggetto di censura. In trasmissioni iconiche come Studio Uno (1961), per la sigla di successo Da-Da-Umpa, furono costrette a coprire le cosce con pesanti calze nere. Questa battaglia estetica fu vinta: le loro gambe, i loro costumi piumati e scintillanti e l’eleganza innata divennero presto emblema della libertà e della spensieratezza degli anni Sessanta.

Grazie alla loro presenza in programmi come Studio Uno e al successo di brani come La notte è piccola per noi, le Kessler si affermarono come le regine del sabato sera televisivo. Fissarono il modello della showgirl ballerina, non più semplice valletta ma vera protagonista carismatica, definendo uno stile che avrebbe segnato il varietà italiano nei decenni successivi.

Ieri, la coincidenza della loro scomparsa con il 17 novembre, giorno che nella tradizione italiana porta con sé un alone di scaramanzia, aggiunge solo una nota curiosa e un apparente di grande grande effetto scenico. Per loro però era solo il giorno prescelto senza alcun significato preciso.

La loro ultima scelta non chiede giudizi, ma comprensione: due vite gemelle che si chiudono esattamente come erano cominciate, fianco a fianco e libere.