LEGGI QUI L’INTERVISTA INTEGRALE A DON GIUSEPPE LA GIUSA, il parroco della Chiesa Abbazia di Agira al centro dell’attenzione in questi giorni per aver deciso di celebrare diverse Messe alla ripresa dopo il lockdown in occasione dell’ottava di San Filippo. Celebrazioni che sono però poi state annullate per stoppare ogni polemica.
Le sue intenzioni, come ci conferma in questa chiacchierata, erano assolutamente buone, a tutela della salute dei cittadini.
Ecco cosa è emerso da una piacevole chiacchierata:
– Don Giuseppe, come si sente?
“Sono provato. Un momento che doveva essere bello è stato trasformato in una tragedia”.
– Parliamo subito della ragione del contendere, perchè aveva deciso di celebrare tante Messe? “Avrei potuto celebrarne benissimo una o due, ma la preoccupazione di dover far fronte a una presenza massiccia di persone ci ha portato ad optare per una soluzione più prudente. E così, ho pensato di moltiplicare le Messe proprio per evitare di creare assembramenti. Avevamo organizzato tutto con chi di competenza secondo le disposizioni dettate dall’accordo Cei – Governo. Il protocollo parla anche della possibilità di moltiplicare le messe ove si riscontri il rischio di poter generare assembramenti. Proprio a tutela della salute del nostro popolo, avevamo seguito i dettami di quel documento”. Leggi qui il protocollo: http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/Protocollo_CEI_GOVERNO_20200507.PDF
– Forse quel 140 moltiplicato x il numero di celebrazioni ha creato un pò di panico in qualcuno, ancora preoccupato per la recente emergenza sanitaria? “Il decreto ci obbliga a comunicare la capienza massima, il numero dei posti disponibili nel rispetto del distanziamento, e l’ho fatto, ma evidentemente spalmando le presenze in più celebrazioni, i numeri di fedeli per ogni Messa sarebbero stati molto più bassi”.
– Forse poteva essere spiegato tutto meglio e magari si sarebbe evitato il caos? “L’ho fatto con chi di dovere. Se chi nutriva dubbi, avesse chiesto, democraticamente avrebbe ottenuto una risposta. Il dialogo fa l’uomo vero. Non siamo degli sprovveduti. Era tutto coordinato con le forze dell’ordine, i volontari delle Giubbe d’Italia e della Parrocchia. Avevamo pensato a tutte le precauzioni del caso, distanziamento e igiene”.
– Non è stato bello ricevere attacchi pesanti. “Attendiamo. La mia fede in Dio mi permette di confidare in lui e di perdonare. Penso che adesso, però, bisogna pensare a continuare a vivere, perchè la paura rischia di trasformarsi nel virus più grande”.
– Quanto manca alla gente la preghiera in comunità? “Alla gente manca tanto lo stare insieme, il condividere momenti di vita sociale e religiosa, chiaramente, ribadisco, è stato giusto stare a casa fin qui, ma ora con tutte le precauzioni del caso bisogna pian piano tornare a stare insieme. Era un momento atteso, la nostra comunità ne esce penalizzata”.
– L’abbiamo vista in giro, presente, nonostante il lockdown. “Ho voluto essere presente, con opere di carità, spendendomi nel far cucire le mascherine quando non se ne trovavano, benedicendo quei defunti che a volte non avevano la presenza di nessuno, sostenendo con la preghiera il mio popolo. Non facendo mancare nemmeno un giorno la Celebrazione Eucaristica e il saluto alla gente tramite amplificazione esterna e facebook; chiamando chi stava male e i familiari dei defunti. Penso di aver operato per la gente e di aver fatto tutto ciò che potevo”.
– In qualche articolo, è emerso il discorso relativo ai funerali, in merito alla diffusione del contagio, non ci piace capire da dove e come sia partito perchè sicuramente nessuno ha colpe e tutto è iniziato inconsapevolmente quando ancora tutto era aperto, però ci sembra giusto porle l’interrogativo. E’ stato detto in maniera inesatta che si sono tenuti funerali in un periodo di lockdown, ce lo conferma? “Gli ultimi funerali in chiesa all’Abbazia sono stati fatti il 5 e il 6 marzo e c’erano in uno poche persone e nell’altro solo i familiari. Il decreto Conte è uscito qualche giorno dopo. Mi auguro che la smettano con questa balla”.
– Dopo questi giorni di tempesta, è il momento di tornare a celebrare. “Voglio celebrare con i fedeli, come legge prevede, e confidare in Dio. In questi giorni comunicherò le nuove date e le modalità di riapertura”.
Da questa chiacchierata, capiamo che il timore e la mancanza di una comunicazione serena ed efficace hanno dunque contribuito ad esasperare una situazione che si sarebbe dunque potuta concludere diversamente, per il bene di tutta la nostra comunità.
A quanto pare, le autorità avevano deciso dopo le prime polemiche di celebrare una Messa dentro e una fuori, nel piazzale, ma, a scanso di equivoci e onde evitare pericolosi assembramenti, si è deciso di optare per lo stop definitivo. Chiaramente, adesso, dopo la tempesta, attendiamo il ritorno della quiete che la nostra comunità merita dopo aver lottato con responsabilità per allentare il contagio.
Emanuele Parisi