di Giovanni Vitale
Da quasi un secolo torna di tanto in tanto come un’onda di marea, dacché nel 1927 un giornalista, tale Santi Paladino, per primo ne avanzò la tesi: il grande genio della letteratura inglese in realtà fu un siciliano.
Come per Omero anche per Shakespeare c’è da sempre un ‘caso’ riguardante la sua vera identità date le scarse prove documentali al riguardo, ma finché ciò rientra nella sfera inglese – come nel caso che ne ha fatto il ‘nom de plume’ del conte di Southampton – la filologia britannica e l’apparato di Stato, pur storcendo il naso, ha tollerato. Ma italiano, e siciliano poi, assolutamente no, se non per qualche raro possibilista!
Più recentemente, con maggiore autorevolezza M. Iuvara docente universitario di letteratura, ha ripreso ed approfondito la tesi del Paladino e, con dovizia di ulteriori prove, ne attesta l’innegabile validità. Dietro il nome di Shakespeare si celerebbe Michel Agnolo Florio, messinese figlio di Giovanni e Guglielma Crollalanza. Proprio il cognome materno, tradotto in inglese (Shake=sCrolla + Spear=lancia<- lanza) usò il drammaturgo e poeta per firmare le sue opere. Qualcun altro ha suggerito che, forse più credibilmente, sia stato suo figlio John a celarsi dietro la firma del Bardo inglese. In ogni caso risulta alquanto difficile attribuire al figlio di un guantaio di Avon, del quale si hanno pochissime notizie biografiche certe e nessuna sulla sua istruzione, l’enorme conoscenza intellettuale dello scrittore. Conoscenza che spazia, com’è noto, su svariati campi: storia e religioni, geografia e toponomastica, letteratura classica e contemporanea, diritto e politica, lingue e aneddotica. Cultura che, invece, il Florio certamente possedeva, insieme alle frequentazioni ed esperienze di vita che s’incastrano benissimo in molte delle trame dei drammi shakespeariani. A partire da quelli ambientati in Italia (molti!) e specialmente quelli in Sicilia di cui un paio proprio a Messina. Ci sarebbe anche la tragica vicenda amorosa del giovane Florio con una Giulietta veneta, il cui raffronto con una delle tragedie più famose di Shakespeare è superfluo richiamare. E molte altre circostanze e indizi, di cui ormai tanto s’è scritto ed è disponibile in Rete.
Va notato, infine, che il Regno Unito è da sempre attento alle questioni siciliane, non di rado ergendosene a protettore, ma che all’occasione non ha esitato per i propri interessi nazionali a buggerare. Come fu, ad esempio, al Congresso di Vienna per la Restaurazione dopo la sconfitta di Napoleone, in cui permise la cancellazione del plurisecolare Regno di Sicilia e la sua annessione a quello di Napoli, ottenendo in cambio monopoli, privilegi commerciali e la diretta potestà sull’isola di Malta che era parte imprescindibile del suo arcipelago; oppure i traccheggi di W. Churchill con Mussolini all’inizio della II Guerra Mondiale e poi smentiti, che da quest’ultimo, infatti, le meritò l’appellativo di “perfida Albione”, fatto ormai da più parti riconosciuto. Serve forse da ultimo ricordare, per farne “questione di Stato”, che il “brand Shakespeare” vale miliardi di sterline all’anno?