di Giovanni Vitale

È un modo di dire che l’essere in eccessiva confidenza può generare situazioni di maleducazione, quel che può definirsi mala creanza. Ed, effettivamente, così accade di frequente. Ma se ciò può essere sufficiente è anche necessario?
In questi nostri tempi, d’intensa frequentazione social network, che sono luoghi per i quali i protocolli comportamentali vanno ancora definiti, in effetti capita spesso e più che in altri luoghi ben “collaudati” che la ‘vicinanza virtuale’ fra interlocutori, disposta dalle piattaforme, dia adito a situazioni imbarazzanti, talvolta indisponenti. Ciò avviene proprio perché ci offrono la sensazione di vicinanza relazionale che, rispetto alle condizioni ordinarie, risulta di eccessiva intimità. Tale “sensazione”, ovviamente, è del tutto surrettizia, dovuta al fatto che non siamo ancora abituati all’immediatezza dei contatti socialnet. Immediatezza temporale ma anche per la distanza interpersonale che, solitamente, ci fornisce preziose indicazioni di comportamento. Cioè il sapere “stare alla dovuta distanza”.
La descrizione e l’analisi’ dei comportamenti interpersonali ordinari la dobbiamo alla pubblicistica del grande E. Goffman. Fra i suoi testi merita speciale attenzione la traduzione italiana, curata e prefata da M. Wolf: ‘Le relazioni in pubblico’. Detto molto sommariamente, il testo ci fornisce un’ampia ed approfondita disamina delle procedure, corrette o meno, che regolano i rapporti fra le persone nei vari contesti “allargati”, cioè definibili in qualche modo pubblici e messi anche in confronto con quelli più specificamente privati. Lo studio presenta una casistica straordinariamente ricca di situazioni del genere, evidenziando i “protocolli” relazionali più comuni, la loro funzione nonché quelle ben riuscite e, di contro, le infrazioni. Semplificando, si tratta di tutta la congerie di ‘comportamenti’, corretti o sbagliati, che mettiamo in essere, più o meno consapevolmente, quando interagiamo con altre persone.
Di fatto l’educazione, familiare e sociale, ci provvede fin da piccoli in merito. E ne riconosciamo agevolmente le condizioni favorevoli o meno. Raramente abbiamo difficoltà nel riconoscere il buon comportamento, specialmente altrui, nella stragrande varietà di situazioni. Siamo anche sufficientemente preparati nel capire il disagio che ambienti non consueti possono provocare, che il non esservi abituati può comportare, pur intuendone però il fastidio dell’inconvenienza e la problematicità dell’errore. Sappiamo infatti riconoscere piuttosto bene le infrazioni, anche se per le nostre, e di chi ci è caro, provvediamo spesso a giustificarle… date le circostanze, ovviamente!
Di tutto ciò, ahinoi, non siamo adeguatamente provvisti con le relazioni in Rete: trattandosi di un “ambiente” nuovo e diverso, inusuale, difettiamo di sufficiente educazione al riguardo. Fatichiamo non poco a considerarne i tempi e le distanze sociali. Finiamo, anche nostro malgrado, per risultare non di rado screanzati, cioè come se abusassimo della confidenza altrui; e reagiamo altrettanto incongruamente, dando luogo ai cosiddetti “flame”, polemiche aspre e difficilmente contenibili, purtroppo tanto comuni nei gruppi socialnet.
Sembra alquanto ragionevole prevedere che col tempo, con l’abitudine alle relazioni che definiamo “virtuali”, emergeranno protocolli comportamentali che l’uso renderà “naturali”, nel senso che li applicheremo ordinariamente, come facciamo nelle altre situazioni esistenziali.
Nulla di strano se si pensa che anche il telefono, all’inizio, creò problemi analoghi: in storia dei mezzi di comunicazione si narra che ci fu persino un acceso dibattito parlamentare in USA, perché il suo uso indiscriminato veniva ritenuto troppo confidenziale e che, pertanto, potesse creare disagi sociali. Ad esempio rendeva facilmente approcciabili le brave e timorate casalinghe americane da parte di chicchessia, insidiandone la virtù e la riservatezza domestica che, al tempo, era molto considerata ed altrettanto tutelata dal “buon costume” e dalla buona creanza statunitense.