Il 79 per cento dei comuni siciliani esclusi dalla possibilità di utilizzare gli Investimenti Territoriali Integrati (ITI) dell’Unione Europea per le loro strategie di sviluppo.
Le regole dell’accordo del PO FESR Sicilia 2014/2020 e dei fondi SIE, infatti, prevederebbero di destinare gli ITI a solo 82 comuni. Ne beneficerebbero solo 65 comuni delle 5 aree interne (Sicani, Calatino, Nebrodi, Madonie, Simeto-Etna); più Palermo, Bagheria, Catania, Acireale, Messina, Siracusa, Trapani, Erice, Marsala, Mazara, Castelvetrano, Gela, Vittoria, Ragusa, Modica, Caltanissetta, Enna e Agrigento. Con questa impostazione, quindi, molti comuni resterebbero esclusi, assieme alle relative imprese residenti, dalla possibilità di utilizzare gli investimenti e le risorse per pianificare la loro strategia d’area e per programmare ed attuare azioni di integrazione di politiche di sviluppo e di fondi economici. Ai soggetti istituzionali ed economico-sociali, per programmare ed attuare azioni di integrazione di politiche di sviluppo e di Fondi economici, resterebbe solo il procedimento CLLD (Community Led Local Development ovvero Sviluppo Locale di Tipo Partecipativo), realizzato dai GAL, quindi, con la possibilità di utilizzare appena il 5 per cento del FEASR e l’1,5 per cento di FESR. L’Accordo di Partenariato 2014-2020, infatti, indica fra le innovazioni di metodo e di strumento per il nuovo periodo di programmazione il CLLD, quale strumento di sviluppo gestito e amministrato direttamente dai partenariati pubblico-privati costituiti in Gruppi di Azione Locale. Presupposto fondamentale per lo sviluppo locale, quindi, è la centralità dei comuni. Il comune assume nel nuovo periodo di programmazione la natura di minima unità effettuale dello sviluppo. Ai sensi dell’Accordo, i comuni “costituiscono l’unità di base del processo di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui, sistemi locali intercomunali, sono partner privilegiati per la definizione della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti di sviluppo”. Pertanto, i comuni devono porre in essere forme di gestione associata di funzioni e servizi. Tali forme di gestione associata dovrebbero essere “funzionali al raggiungimento dei risultati di lungo periodo degli interventi collegati alla strategia e tali da allineare pienamente la loro azione ordinaria con i progetti di sviluppo locali finanziati”.
In sostanza, la gestione associata di funzioni e servizi fra i comuni è presupposto fondamentale, ma allo stesso tempo il principio ispiratore dei partenariati istituzionali attraverso cui si può realizzare il riallineamento e l’eliminazione di asimmetrie fra partenariati per lo sviluppo e partenariati istituzionali. In tal senso la gestione in forma associata di funzioni e di servizi è da considerare come un principio generale di buon governo del territorio anche al di là dei casi in cui essa assume il carattere di pre-requisito (come nel caso dell’adesione alla SNAI) o di obbligo (come nel caso degli obblighi posti ai cosiddetti “Comuni polvere” con le note differenze normative in particolare per le Regioni a Statuto speciale).
A dimostrazione dei presupposti concettuali alla base del pre-requisito istituzionale, l’accordo di partenariato prevede che esso non può ritenersi soddisfatto da partenariati temporanei costruiti «su e per progetti/programmi di sviluppo». Infatti, appare evidente che tali forme aggregative, anche se riconosciute dalla politica di coesione comunitaria e ad essa ascrivibili, non sono da sole sufficienti a garantire la citata coerenza fra partenariati istituzionali e partenariati per lo sviluppo locale.
L’assetto delle politiche comunitarie sembrerebbe, dunque, configurare un nuovo modello di governance dello sviluppo locale e farebbe emergere una nuova dimensione dei Sistemi Locali di Sviluppo. Così non si può fare a meno di riconsiderare le diverse prospettive per le aree vaste intermedie, anche alla luce dell’attuale vuoto istituzionale determinato dalla riforma delle Province.
Le nuove prospettive per la governance dello sviluppo locale traggono ispirazione in larga misura dalla esperienza dei Gruppi di Azione Locale in Europa (di cui i Comuni sono soci e partner). La lunga esperienza della politica di sviluppo rurale, dall’esordio nel 1991 fino ad oggi, ha prodotto una pluralità di esperienze in ambito europeo le quali talora hanno dato luogo a veri e propri laboratori delle Strategie di Sviluppo Locale (Ssl). Complessivamente, il metodo Leader ha parzialmente realizzato l’obiettivo di integrare gli attori dello sviluppo locale, le vocazioni e le risorse presenti nei sistemi sub-regionali; per questo l’Unione Europea continua a riconoscere la grande validità del metodo e punta, per il periodo di programmazione 2014-2020, al potenziamento dell’approccio Leader e dell’esperienza dei Gruppi di Azione Locale. Questi ultimi dovrebbero perciò diventare parte sostanziale delle cabine di regia dello sviluppo locale (funzione bottom-up) non soltanto attraverso la gestione dei fondi FEASR, ma anche ponendosi come catalizzatori plurifondo per gli altri fondi europei, operando dal basso, in forme diverse e “di fatto”, di concerto con la aggregazione dei Comuni di riferimento.
In tale ottica, l’articolo 32 del Regolamento Ue n. 1303/2013 disciplina lo sviluppo locale di tipo partecipativo, il quale può essere sostenuto dal FEASR (determinando, in tal caso, una sostanziale coincidenza con l’approccio Leader) come anche dagli altri Fondi SIE (Fondi Strutturali e di Investimento Europei).
Salvatore Troia
Le regole dell’accordo del PO FESR Sicilia 2014/2020 e dei fondi SIE, infatti, prevederebbero di destinare gli ITI a solo 82 comuni. Ne beneficerebbero solo 65 comuni delle 5 aree interne (Sicani, Calatino, Nebrodi, Madonie, Simeto-Etna); più Palermo, Bagheria, Catania, Acireale, Messina, Siracusa, Trapani, Erice, Marsala, Mazara, Castelvetrano, Gela, Vittoria, Ragusa, Modica, Caltanissetta, Enna e Agrigento. Con questa impostazione, quindi, molti comuni resterebbero esclusi, assieme alle relative imprese residenti, dalla possibilità di utilizzare gli investimenti e le risorse per pianificare la loro strategia d’area e per programmare ed attuare azioni di integrazione di politiche di sviluppo e di fondi economici. Ai soggetti istituzionali ed economico-sociali, per programmare ed attuare azioni di integrazione di politiche di sviluppo e di Fondi economici, resterebbe solo il procedimento CLLD (Community Led Local Development ovvero Sviluppo Locale di Tipo Partecipativo), realizzato dai GAL, quindi, con la possibilità di utilizzare appena il 5 per cento del FEASR e l’1,5 per cento di FESR. L’Accordo di Partenariato 2014-2020, infatti, indica fra le innovazioni di metodo e di strumento per il nuovo periodo di programmazione il CLLD, quale strumento di sviluppo gestito e amministrato direttamente dai partenariati pubblico-privati costituiti in Gruppi di Azione Locale. Presupposto fondamentale per lo sviluppo locale, quindi, è la centralità dei comuni. Il comune assume nel nuovo periodo di programmazione la natura di minima unità effettuale dello sviluppo. Ai sensi dell’Accordo, i comuni “costituiscono l’unità di base del processo di decisione politica e in forma di aggregazione di comuni contigui, sistemi locali intercomunali, sono partner privilegiati per la definizione della strategia di sviluppo d’area e per la realizzazione dei progetti di sviluppo”. Pertanto, i comuni devono porre in essere forme di gestione associata di funzioni e servizi. Tali forme di gestione associata dovrebbero essere “funzionali al raggiungimento dei risultati di lungo periodo degli interventi collegati alla strategia e tali da allineare pienamente la loro azione ordinaria con i progetti di sviluppo locali finanziati”.
In sostanza, la gestione associata di funzioni e servizi fra i comuni è presupposto fondamentale, ma allo stesso tempo il principio ispiratore dei partenariati istituzionali attraverso cui si può realizzare il riallineamento e l’eliminazione di asimmetrie fra partenariati per lo sviluppo e partenariati istituzionali. In tal senso la gestione in forma associata di funzioni e di servizi è da considerare come un principio generale di buon governo del territorio anche al di là dei casi in cui essa assume il carattere di pre-requisito (come nel caso dell’adesione alla SNAI) o di obbligo (come nel caso degli obblighi posti ai cosiddetti “Comuni polvere” con le note differenze normative in particolare per le Regioni a Statuto speciale).
A dimostrazione dei presupposti concettuali alla base del pre-requisito istituzionale, l’accordo di partenariato prevede che esso non può ritenersi soddisfatto da partenariati temporanei costruiti «su e per progetti/programmi di sviluppo». Infatti, appare evidente che tali forme aggregative, anche se riconosciute dalla politica di coesione comunitaria e ad essa ascrivibili, non sono da sole sufficienti a garantire la citata coerenza fra partenariati istituzionali e partenariati per lo sviluppo locale.
L’assetto delle politiche comunitarie sembrerebbe, dunque, configurare un nuovo modello di governance dello sviluppo locale e farebbe emergere una nuova dimensione dei Sistemi Locali di Sviluppo. Così non si può fare a meno di riconsiderare le diverse prospettive per le aree vaste intermedie, anche alla luce dell’attuale vuoto istituzionale determinato dalla riforma delle Province.
Le nuove prospettive per la governance dello sviluppo locale traggono ispirazione in larga misura dalla esperienza dei Gruppi di Azione Locale in Europa (di cui i Comuni sono soci e partner). La lunga esperienza della politica di sviluppo rurale, dall’esordio nel 1991 fino ad oggi, ha prodotto una pluralità di esperienze in ambito europeo le quali talora hanno dato luogo a veri e propri laboratori delle Strategie di Sviluppo Locale (Ssl). Complessivamente, il metodo Leader ha parzialmente realizzato l’obiettivo di integrare gli attori dello sviluppo locale, le vocazioni e le risorse presenti nei sistemi sub-regionali; per questo l’Unione Europea continua a riconoscere la grande validità del metodo e punta, per il periodo di programmazione 2014-2020, al potenziamento dell’approccio Leader e dell’esperienza dei Gruppi di Azione Locale. Questi ultimi dovrebbero perciò diventare parte sostanziale delle cabine di regia dello sviluppo locale (funzione bottom-up) non soltanto attraverso la gestione dei fondi FEASR, ma anche ponendosi come catalizzatori plurifondo per gli altri fondi europei, operando dal basso, in forme diverse e “di fatto”, di concerto con la aggregazione dei Comuni di riferimento.
In tale ottica, l’articolo 32 del Regolamento Ue n. 1303/2013 disciplina lo sviluppo locale di tipo partecipativo, il quale può essere sostenuto dal FEASR (determinando, in tal caso, una sostanziale coincidenza con l’approccio Leader) come anche dagli altri Fondi SIE (Fondi Strutturali e di Investimento Europei).
Salvatore Troia