Leonforte – Come un buon vino, versato nel decanter. Anche questa recensione del primo spettacolo in rassegna al Premio nazionale Città di Leonforte ha richiesto una breve decantazione. Il motivo è semplice. “Un’improbabile storia d’amore”, questo il nome del capolavoro, ha conquistato la platea. Ma tutta! Entusiasmo e meraviglia talmente totalizzanti da mettere in crisi.
                                     “Da dove comincio???”
Forse converrebbe partire da quell’esaltazione plebiscitaria, per provare a scriverne. Le aspettative sulla performance del Theatre DeGart, l’Associazione fondata dal duo Daniele Segalin e Graziana ParisiDandy Danno e Diva G – erano alte. Incuriosisce a dovere una visual comedy. Stuzzica l’idea di assistere a qualcosa di sperimentale, fuori dagli schemi classici. Teatro che non è teatro, o almeno non solo. Del resto, un artista proveniente dai grandi circuiti circensi internazionali, maestro della risata e complementare alla grazia e alla fine ironia di una avvenente coreografa e regista di spettacoli, non potevano che restituire al pubblico internazionale una visione magica dell’innamoramento in tutte le sue fasi.
Magica ed essenziale, come la relazione tra l’elegante e goffo Dandy Danno con la femme fatale Diva G. Carica di curiosità, poi, sapere che l’assenza di parola è predominante. Questo il trampolino giusto per catapultarsi in uno spettacolo di puro stupore, con una regia curata da un nome di tutto rispetto, quel Jango Edwards che dell’assurdo è il re. In un’atmosfera d’antan si intrecciano gli sguardi, i buffi gesti. La mimica predomina, in stupefacente sincronia con la musica.
L’obiettivo del duo è prettamente maieutico. Il pubblico avrebbe partorito la purezza della risata, pur non essendone completamente consapevole. Non sapeva, la platea, che Dandy Danno e Diva G attraverso il linguaggio più incisivo, avrebbero spogliato – velo dopo velo – la mente carica di brutti pensieri, affanno, cinismo e brutture tipiche da “tempi moderni”. Attraverso le lacrime provocate da incessanti risate, si purifica l’animo che, quasi impercettibilmente, torna indietro piano piano. Non più adulti, ma innocenti bambini. Questo il risultato finale, quando tra risa e beatitudine ci si esaltava nel lanciare palloni di ogni diametro e colore.
Ecco, l’interazione, l’altro elemento essenziale dello spettacolo. “Tu con me, io con te”, pare il motto che meglio descrive la pièce. Sarà quell’assenza di parola, che facilita l’empatia. Sarà l’improvvisazione, che di certo dona quel tocco di originalità ad ogni rappresentazione. Fatto sta che la simbiosi c’era. E l’immedesimazione pressoché completa. In questa dimensione onirica – seppur dannatamente ed intimamente vera, perché ci siamo rivisti tutti nei nostri goffi amori giovanili – ci si è felicemente crogiolati.
Cosa resta, al termine della decantazione? Quello stupore iniziale, nel constatare di essere stati spettatori di un metaspettacolo, intreccio di tanti stili narrativi tipici di teatro, giocoleria, clowneria. La meraviglia di consapevolizzare che, dopotutto, abbondiamo nel superfluo. Ci affanniamo alla ricerca di inutili parole, spesso vacue e posticce, quando l’espressività più incisiva è la più primordiale, come un gesto, come il ritmo.
E, in fondo al decanter, troviamo Antoine de Saint-Exupery: “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi”
Alessandra Maria