Parecchie leggende del passato ci sono pervenute attraverso racconti dei nostri antenati, poi trascritte nei libri per affascinarci con la loro lettura. Ogni popolo (e il siciliano lo è da secoli) ha le sue, che si rifanno al luogo e alle tradizioni popolari e narrano fatti reali o fantastici allo scopo di rafforzare i legami che lo tengono unito.
Al Talìa Spazio Arte di Leonforte belle ed entrambi commoventi, sono state ricordate quelle della baronessa di Carini e di Tifeo, il mostruoso gigante che sorregge la Sicilia.
Questa la leggenda della baronessa di Carini, come raccontata in una bella poesia da un ignoto poeta dialettale del ‘500: “Imbalsamato dal delirio della zagara d’arancio e dagli effluvi del mare, il castello di Carini, che si erge maestoso a pochi chilometri di Palermo, sembra narrarci una terribile e pietosa tragedia d’amore tra la bella figliola del barone di Carini e un valoroso cavaliere messinese. Appena il padre di lei ne conobbe i sentimenti per quello che egli considerava un nemico, la fece rinchiudere in un suo palazzo di Palermo. Poiché l’amore non conosce ragioni né ostacoli, la giovane baronessa trovò modo di fuggire con l’uomo che amava rifugiandosi nel castello di Carini ove vissero per qualche tempo felici. La felicità non durò a lungo poiché una spia raccontò al barone quanto accadeva nel maniero. Abbandonata da tutti, disperata, ritornò al castello e si gettò ai piedi del padre, che, spietato, l’uccise con due colpi di spada. Oggi, chi sosta dinnanzi al maniero carinese, volge il proprio pensiero all’amore tramandato di questa sfortunata figlia di Sicilia”.
Questa la leggenda di Tifeo (oTifone) secondo la mitologia greca: “Tifeo, un gigante con centinaia di teste di drago, che secondo alcuni sorreggerebbe l’Isola, era figlio di Gea, madre terra, e di Tartaro, la personificazione degli inferi, destinato per volere della madre a una lotta impari contro Zeus, il re degli dei, colpevole di aver sconfitto i Titani, suoi figli. Dopo una serie di combattimenti e ferimenti dell’uno e dell’altro, Tifeo si rifugiò in Sicilia, ove da Zeus venne imprigionato sotto l’Etna. Da allora, sorregge, con la mano destra, Peloro (Messina), con la sinistra, Pachino, con le gambe, Lilibeo (Marsala), con la testa l’Etna, vomitando fiamme dalla bocca. Tifeo, a volte, prova a scrollarsi di dosso il peso dell’isola, delle montagne e delle città ed è in quel momento che la terra trema producendo terremoti“.

Giuseppe Sammartino