di Josè Trovato

Sei anni fa a Leonforte stava per aprire una nuova ottica, con tanto di arredi acquistati e locali già presi in affitto, nel centralissimo corso Umberto. Ma Cosa Nostra, secondo il gup di Caltanissetta David Salvucci, disse di no, perché quell’ipotetica start up avrebbe danneggiato un ottico già operante in città, l’agirino Orazio Zito, che evidentemente il clan leonfortese capeggiato da Giovanni Fiorenza, detto “u sapienti” o “sacchinedda”, riteneva un “amico”. Non se ne fece più nulla. Per questo adesso, con rito abbreviato, sono stati condannati in quattro. Sono lo stesso Zito, che si è sempre professato innocente ma prende in primo grado 2 anni 11 mesi e 20 giorni di reclusione e 2 mila euro di multa, il boss Fiorenza; e altri due mafiosi del clan, Giuseppe Viviano, detto “Pippo u catanisi”, e Mario Armenio “l’olandese”. La sentenza del gup ha accolto quasi interamente le tesi ricostruite dalla Dda di Caltanissetta. Assolti per non aver commesso il fatto, invece, il figlio di Fiorenza, Alex detto “u stilista”, e un dipendente di Zito, il leonfortese Dario Rossello. Per Rossello, l’assoluzione era stata chiesta anche dal pubblico ministero. Giovanni Fiorenza, già condannato al processo Homo Novus, prende 2 anni in continuazione con la condanna definitiva di quel processo, con cui l’estorsione per l’apertura dell’ottica viene ritenuta dal giudice per l’udienza preliminare esecutiva “di un unico disegno criminoso”. Identica condanna (due anni in continuazione) è stata inflitta ad Armenio.
Tentata estorsione alla discoteca: condannati Viviano e Monsù, assolti i Fiorenza
Pippo “u catanisi” è stato condannato a tre anni di reclusione, sempre in continuazione con la sentenza Homo Novus. Il giudice lo ha ritenuto colpevole dell’estorsione dell’ottica e di una tentata estorsione, ai danni di una discoteca operante a Leonforte nello stesso periodo. Al titolare sarebbero stati chiesti 100 euro come primo segnale della sua scelta di pagare la “protezione”. E gli sarebbe stato recapitato un avvertimento inquietante: il clan gli avrebbe fatto trovare una bottiglia di liquido infiammabile e due cartucce calibro 12. Ma nel frattempo, come detto, per boss e gregari della nuova mafia organizzata leonfortese erano scattati gli arresti; e questo non consentì al clan di ottenere i soldi. Per la richiesta di pizzo alla discoteca sono stati condannati in due, Viviano e il leonfortese Angelo Monsù, anche se per quest’ultimo, imputato solo per questo reato, la pena inflitta, in continuazione con Homo Novus, è di soli 4 mesi di reclusione. Assolti invece dall’accusa di tentata estorsione alla discoteca i due Fiorenza: lo stesso boss e il figlio Alex.
Concorso esterno, piena assoluzione per Ipsale
Assolto perché il fatto non sussiste il costruttore edile Antonino Ipsale, incensurato, che era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. La Dda, in pratica, accusava Ipsale di aver segnalato al clan i lavori più consistenti appaltati a Leonforte e nei paesi vicini e di essersi proposto come intermediario con le ditte appaltatrici. Ma l’imprenditore, difeso dall’avvocato Giuseppe Greco, è stato assolto con formula piena, nonostante il pubblico ministero, durante la requisitoria, avesse chiesto per lui la condanna a 6 anni e 6 mesi di reclusione. Per questo il legale, pur non commentando la sentenza, ha espresso grande soddisfazione, considerato che il giudice ha accolto in pieno la tesi difensiva.
I risarcimenti: danni in sede civile più provvisionale
Zito, Giovanni Fiorenza, Viviano e Armenio sono stati condannati, in solido, al risarcimento dei danni nei confronti dell’ottico che non aprì a causa dell’interesse della cosca, costituitosi parte civile al processo. Condannati “al risarcimento dei danni arrecati (…) da quantificarsi nella separata sede civile”, con provvisionale di 3 mila euro e refusione delle spese di giudizio. I quattro imputati, assieme a Monsù, sono stati condannati inoltre al risarcimento dei danni nei confronti della Fai, la Federazione delle associazioni antiracket, che si è costituita a sua volta parte civile. Anche qui il risarcimento è da quantificarsi nella separata sede civile, più una provvisionale di mille euro e la refusione delle spese di giudizio.
L’inchiesta: uno stralcio dei procedimenti “Homo Novus”
L’indagine è uno stralcio dell’importante inchiesta antimafia condotta dagli agenti della sezione di Pg del Commissariato di Leonforte, che sei anni fa posero la lente d’ingrandimento su tutte le attività del nascente clan Fiorenza. Il capo Giovanni, cognato del vecchio referente dell’Onorata società leonfortese Rosario Mauceri – mafioso ed assassino estraneo a questa inchiesta, in carcere all’ergastolo perché ideatore e principale esecutore materiale del duplice omicidio di Filippo Musica e Elisa Valenti, il cosiddetto “delitto dei fidanzatini” (Nissoria, 30 giugno 1999) –, nel 2013 riuscì a creare un clan mafioso e a farlo riconoscere dal boss provinciale di Cosa Nostra Salvatore Seminara, detto “zio Turi”. A coordinare le investigazioni è stato il sostituto  procuratore di Caltanissetta, oggi procuratore aggiunto, Santi Roberto Condorelli, il magistrato che ha coordinato quasi tutte le più importanti reazioni dello Stato contro la mafia operante nel territorio ennese. Al termine della sentenza, il gup Salvucci si è riservato novanta giorni di tempo per il deposito delle motivazioni, dopodiché inizieranno a decorrere i termini per gli eventuali ricorsi in appello.