di Josè Trovato

Piazza Armerina. E’ una storia che ha scosso profondamente l’animo di tanti ennesi. Un sacerdote molto conosciuto, padre Giuseppe Rugolo, agli arresti domiciliari con l’accusa di violenza sessuale e atti sessuali con minori; e il sospetto che qualcuno, ai piani alti, possa aver tentato di coprirlo, possa aver tentato di insabbiare tutto. Una macchia che ha colpito l’intera diocesi di Piazza Armerina; anche se il vescovo, va detto, non è mai stato accusato di favoreggiamento. E per questa ragione, consapevole che monsignor Gisana riveste la posizione di testimone della vicenda; consapevole che il vescovo è stato interrogato lungamente dagli investigatori e dai magistrati; decido di chiedergli un appuntamento. La risposta è affermativa. Spiego che ho intenzione di fare un’operazione-verità: discuteremo serenamente della vicenda, poi ognuno si assumerà le responsabilità di ciò che afferma. Mi viene risposto che pure sua eccellenza aveva intenzione di rilasciare un’intervista.
L’incontro avviene nei locali della diocesi. E’ un pomeriggio caldo. Appuntamento fissato per le 15,30. Per questioni mie organizzative, arrivo che non sono neanche le 13. Cerco un posteggio all’ombra. Un paio di ore dopo, puntualissima, arriva la macchina degli avvocati designati dal vescovo, i penalisti ennesi Gabriele Cantaro e Maria Teresa Montalbano. Li riconosco ed entro assieme a loro. Ad accoglierci è padre Carmelo Cosenza, che rimarrà con noi durante l’intervista. Dopo pochi minuti ci raggiunge anche monsignor Gisana.
Prima di cominciare a parlare, sono i difensori stessi a mettere in chiaro un aspetto: non si parlerà di temi per cui il vescovo riveste la figura di testimone; per rispetto, ribadiscono più volte, del lavoro dei magistrati.
Siamo d’accordo. L’intervista verte su ciò che monsignor Gisana ha fatto dal momento in cui fu messo al corrente degli abusi che un giovane avrebbe subito da padre Rugolo.
Parliamo del trasferimento di don Rugolo a Ferrara da lei deciso. Perchè non ha immaginato una soluzione differente? Che so? Inviare padre Rugolo in un eremo, data la gravità dei fatti di cui era accusato?
“Guardi, nell’ambito ecclesiastico ci sono dei contesti in cui questi preti vengono recuperati, per poter rivedere la loro vita sacerdotale. C’è il Divino Amore, a Città di Castello, che conosco perchè in passato ho già aiutato altri sacerdoti. All’epoca, prima che si potesse procedere all’accertamento dei fatti – visto che padre Rugolo aveva negato ogni addebito, in un contraddittorio che avevo creato con entrambe le parti assistite dai rispettivi legali – mi sono preoccupato intanto affinché padre Rugolo potesse rivedere la sua scelta sacerdotale. Questo è un aspetto che non conosce nessuno, rimasto sin qui inedito. Contattai un eremita, ma lui mi rispose: “Non posso prenderlo per due anni, al massimo per due o tre settimane”. A quel punto mi ricordai di un amico, il vicario generale di Ferrara, che conobbi da ragazzo a Roma, e mi rivolsi a lui. Chiesi, nella massima trasparenza, portando a lui le carte della congregazione, se potevamo avviare lì un percorso. Lui fu favorevole ad accoglierlo nel seminario, dove non ci sono seminaristi né gruppi giovanili”.
Non era a contatto con i giovani?
“Il seminario di Ferrara è vuoto, c’è il rettore e dei sacerdoti di colore che vivono lì. Conobbi nell’occasione un sacerdote impegnato nella tutela di minori, uno psicologo, e pensai: “Il Signore ci aiuta”. Lui il fine settimana andava nella parrocchia del vicario generale, la sua ex parrocchia, che conosceva molto bene, ma con la presenza di altri sacerdoti: non era mai da solo. Don Rugolo lasciò Enna nell’ottobre del 2019, ritenemmo quella collocazione adeguata: lì nel frattempo iniziò anche il percorso psicoterapeutico con questo sacerdote psicologo. Io stesso da allora sono stato tre volte a Ferrara. La prima volta per presentarlo, poi per verificare. Di recente, quando sono stato chiamato a presentare la documentazione alla Congregazione del clero, su di lui ho presentato le relazioni che mi sono state consegnate”.
C’è sempre stato il sentore popolare che da un momento all’altro padre Rugolo sarebbe tornato a Enna.
“Ecco, questo ci tengo a precisarlo. Sul suo eventuale ritorno ad Enna non erano state prese decisioni definitive, che sarebbero state adottate solo all’esito dell’indagine e del periodo di revisione.
Eppure non lo avete sostituito con un altro parroco a San Cataldo.
“In realtà questo è un equivoco: Rugolo non è mai stato il parroco di San Cataldo in quanto all’originaria designazione non fece seguito l’insediamento. Quando lui lasciò Enna, nel luglio del 2020 ho avuto l’opportunità di ordinare un giovane sacerdote e lo mandai immediatamente alla parrocchia di San Cataldo. Ma non potevo nominarlo parroco, proprio perchè era stato ordinato da poco: così gli diedi l’incarico di amministratore parrocchiale. E’ probabile che questo abbia potuto far pensare a un escamotage per fare una nomina provvisoria in vista di un eventuale ritorno di Rugolo, ma non era affatto così. Semplicemente io non potevo nominare a parroco un giovane prete ordinato da appena tre mesi”.
Nonostante questo padre Rugolo continuava a venire a Enna.
“E’ vero che don Rugolo di tanto in tanto tornava a Enna, dove aveva la famiglia, a volte a mia insaputa; in qualche altra occasione ho appreso che era tornato, ad esempio a celebrare un matrimonio di amici. Ma tenga conto che lui non era stato sospeso, non c’erano i termini per sospenderlo. Se l’avessi fatto sarebbe stato un abuso da parte mia”.
In realtà ci fu un percorso che portò a un procedimento della giustizia canonica. Come andò a finire?
“I giudizi di questo genere si concludono, in caso di condanna, con la dichiarazione di “delicta”, mentre nel suo caso il procedimento canonico si chiuse con la dichiarazione di incompetenza perché i fatti risalivano al periodo in cui era seminarista e di conseguenza non vi era competenza della Congregazione per la Dottrina della fede ad adottare provvedimenti. Le testimonianze acquisite in quel contesto, peraltro, risultarono vaghe e prive di riscontro, tanto da non portare alla configurabilità di quelli che, secondo il diritto canonico, sono configurati appunto come delicta graviora”.
Allora perchè lo trasferì a Ferrara?
“La questione era di rilevanza tale da richiedere una attenta valutazione, che la Congregazione demandò al mio “prudente giudizio”. Fu questo che mi indusse a fargli lasciare Enna per almeno due anni. Tenga presente che noi non abbiamo poteri investigativi. Ci atteniamo a ciò che emerge e che viene denunciato formalmente e dai riscontri che ne derivano. Molto diverso è quanto sta emergendo adesso con gli atti della Procura, che ha compiuto una indagine su maggiori elementi indicati dal giovane rispetto a quelli che aveva formalizzato nella denuncia canonica, ora ulteriormente arricchiti da altri gravi indizi che la Procura stessa ha acquisito grazie ai suoi poteri di polizia giudiziaria. Allora, nonostante le proteste di Rugolo, io ho scelto comunque di allontanarlo e di imporgli una revisione critica della sua scelta sacerdotale e della sua vocazione”.
Come è entrato lei in questa vicenda? Chi è stato a coinvolgerla?
“Monsignor Gisana – risponde l’avvocato Cantaro – ha ricevuto una richiesta di incontro, che gli era stata preannunciata da un sacerdote locale nel 2016. Nonostante la sua immediata dichiarazione di disponibilità, l’incontro è avvenuto quasi un anno dopo, nel 2017, per scelta dei familiari del giovane. Appresi i termini della vicenda, il vescovo chiese di parlare con il ragazzo ormai maggiorenne, cosa che avvenne, sempre per sua scelta, solo nell’ottobre 2018. Tenga inoltre presente che i fatti si riferivano a un periodo in cui monsignor Gisana non era ancora stato nominato vescovo di questa Diocesi”.
Riprende a parlare il vescovo: “Incontrai questo giovane nell’ottobre del 2018. Gli dissi: “E’ opportuno che tu faccia una dichiarazione scritta, così andiamo avanti”. Ma tengo a sottolineare che sin da quando ci fu il primo approccio con i familiari, sono stati loro a chiedermi che tutto fosse gestito e trattato con la massima riservatezza. Nel giro di un anno incontrai ben dodici volte sia il giovane che i genitori. Alla fine, dopo che il processo canonico si concluse, dissi: “A questo punto dovrete essere voi a decidere se denunciare i fatti, se lo riterrete conforme agli interessi del ragazzo”.
Quali sono stati i tempi di questa indagine canonica?
“Il 24 dicembre 2018 è stata presentata la denuncia scritta del giovane e subito, a gennaio 2019, è partita l’investigatio previa, il cui esito è stato poi trasmesso nel giugno 2019”.
Pare che nel frattempo la diocesi abbia offerto un risarcimento per chiudere la vicenda?
“Assolutamente no. Non abbiamo mai offerto alcun risarcimento. La questione si pone in termini diversi e va precisata”.
La illustri pure.
“In uno di questi nostri incontri (credo che sia in uno degli incontri avuti tra maggio e giugno del 2019) con i familiari del giovane, loro mi dicono: “E’ giusto che la diocesi contribuisca alle spese che stiamo sostenendo”. Io ho cercato manifestare la mia attenzione, il mio agire in modo paterno, nei confronti del ragazzo e della sua famiglia. A quella iniziale richiesta, quello che allora era l’avvocato della famiglia sovrappose una causale diversa, asserendo che la cifra doveva essere corrisposta a titolo risarcitorio. Quantificò inoltre la misura di quel risarcimento e aggiunse delle modalità di corresponsione che non avrebbero consentito una tracciabilità. Entrambe queste condizioni risultarono sinceramente inaccettabili: la mia disponibilità era stata solo a titolo di sostegno alla famiglia e per il bene del giovane. In nessun caso, peraltro, e per nessuna ragione quel contributo prevedeva il silenzio o la rinuncia a un’eventuale azione giudiziaria”.
E a quel punto cosa è successo?
“Quello che sappiamo tutti. C’è stata la lettera al Papa da parte della famiglia e la denuncia che hanno ritenuto di presentare nei confronti di padre Rugolo. Non spettava a me denunciare alla giustizia ordinaria, tenuto conto che mi era stata espressamente richiesta la massima riservatezza da parte della famiglia, la quale peraltro era perfettamente in grado di conoscere i meccanismi di avvio di un’indagine da parte della magistratura”.
Il 18 gennaio lei è stato contattato dalla Congregazione per il clero?
“Proprio così. Da Roma, dopo la lettera a Papa Francesco, mi è stata chiesta la documentazione di cui ero in possesso. Io avevo già preparato tutto. E così il 19 gennaio, anzichè spedirlo, consegnai tutto personalmente a Roma. Nella mia relazione ho messo tutto: la denuncia presentata dal giovane, tutte le dichiarazioni raccolte, l’esito dell’investigatio, insomma tutto. Documentazione che adesso è agli atti anche della Procura di Enna: me lo hanno chiesto quando hanno deciso di interrogarmi, cosa a cui ovviamente non mi sono sottratto, anzi tutt’altro. Io sono sempre stato disponibile a collaborare con la giustizia. Ho chiesto il permesso alla Congregazione per il clero, e ottenuta l’autorizzazione ho consegnato tutto alla Procura. Questa documentazione l’ho presentata anche alla Congregazione per la dottrina della Fede e alla Segreteria di Stato Vaticana”.
Lei è mai stato indagato per favoreggiamento?
Rispondono gli avvocati Cantaro e Montalbano: “Monsignor Gisana non ha mai nemmeno per un istante rivestito il ruolo di indagato, meno che mai per favoreggiamento. Non ha mai celato nulla, non ha mai ostacolato in nulla le indagini, ma anzi si è prodigato perchè tutto ciò che veniva rappresentato fosse accertato. Tenete presente che l’investigatio previa non ha gli stessi poteri della giustizia ordinaria, dunque molte circostanze che sono emerse adesso erano del tutto sconosciute a monsignor Gisana. Inoltre a gennaio, quando il caso scoppiò, monsignor Gisana emise un altro decreto, un provvedimento che prevedeva l’allontanamento sine die da Enna e la sospensione dal ministero sacerdotale. In ragione di questo, oggi Don Rugolo non potrà svolgere alcun tipo di attività pastorale pubblica. Inoltre non potrà più venire come sacerdote a Enna, fin quando questa vicenda non sarà chiarita”.
Interviene il vescovo: “Mi faccia ribadire che quando il caso mi fu riferito padre Rugolo non era parroco della parrocchia di San Cataldo. Quando lo avevo nominato parroco, non era ancora venuto il giovane a parlare con me. Nel settembre del 2018 lo nominai parroco e solo dopo, a ottobre, avvenne l’incontro con il giovane, così stabilii che non fosse opportuno un suo insediamento come parroco a San Cataldo”.
E affrontò padre Rugolo?
“Proprio così, gli dissi: “Per quanto avvenuto, non posso procedere al tuo insediamento come parroco di San Cataldo”. A quel punto lui si sentì male. Abbiamo dovuto accompagnarlo alla clinica Morgagni”.
Si è detto che avevate messo in giro la notizia dello stato di salute di padre Rugolo per nascondere cosa stesse accadendo davvero.
“Lui è stato male davvero, poi è chiaro che bisognava aiutare la gente a recepire. E anche mantenere la riservatezza che c’era stata chiesta dalla famiglia del ragazzo”.
Torniamo alla vicenda del risarcimento. Precisiamo che un avvocato che avanza delle richieste risarcitorie per conto dei propri clienti non commette nulla di illecito, ma fa solamente bene il proprio lavoro. Ci riferiamo al professionista che seguì la famiglia in quel periodo. Detto questo: cosa le chiese?
“Nulla quaestio sull’operato dell’avvocato. Io ho solo detto che per me era una richiesta totalmente inaccettabile. Mi chiese: dunque padre Rugolo va via da Enna? Risposi che sarebbe andato via dopo qualche settimana. Mi chiese se avrei fatto un’ammonizione scritta, e io non potevo farla. A quel punto venne fuori la richiesta di 25 mila euro. Io rimasi esterrefatto, perchè non me l’aspettavo. Ma risposi che quel contributo che avrei voluto dare, non certo un risarcimento, sarebbe dovuto essere tracciabile. Preciso che la famiglia non ha mai agito direttamente, eccetto che la prima volta quando si parlò di un contributo. Poi ha agito il loro legale”.
La vicenda, diciamo la “trattativa”, si concluse dunque così. Ma pare ci sia un documento dove lei si impegna a pagare un risarcimento.
“Non l’ho mai firmato. Era una bozza che avrei dovuto firmare, che era stata predisposta dal legale della famiglia, a cui non ho dato alcun seguito”.
Come vi ponete oggi nei confronti della famiglia che ha denunciato tutto?
“Non c’è alcuna contrapposizione con la famiglia. La nostra esigenza di rilasciare un’intervista per chiarire tutto questo nasce dal fatto di dover chiarire alcuni aspetti che possono provocare disorientamento e disagio nei fedeli. Noi non siamo contrapposti rispetto ai denuncianti di padre Rugolo. Assolutamente no. Non c’è alcuna contrapposizione, abbiamo il massimo rispetto per la vicenda umana e personale, massima vicinanza al ragazzo e assoluto, prioritario desiderio di verità e fiducia nella giustizia. Ripeto che quando noi abbiamo cercato di mantenere il riserbo lo abbiamo fatto a tutela della persona offesa. Che questo venga trasformato artatamente in un tentativo di insabbiamento o una richiesta di insabbiamento, è intollerabile”.
Intervengono gli avvocati: “Trasformare una disponibilità al sostegno da parte della diocesi in una proposta di insabbiamento è assolutamente intollerabile, perchè non trova riscontro nè nella condotta del vescovo nè negli atti compiuti”.
Perchè lei ha nominato degli avvocati?
“La loro presenza nasce semplicemente dal fatto che sono stato investito da questo ciclone mediatico. I legali stanno svolgendo un servizio preziosissimo: chiaramente avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a poter dire le cose come stanno e soprattutto per evitare che dichiarazioni mie, fatte alla luce del sole, fossero fraintese. Sono convinto che i processi non si facciano sui giornali.
Interviene l’avvocato Cantaro: “L’operato di monsignor Gisana è stato posto all’attenzione della magistratura, hanno visto come si è comportato, cosa ha fatto, e stabilito la liceità e la correttezza del suo comportamento. Non solo, ma è stato anche indicato tra i testimoni e lui non si è mai tirato indietro, neanche per un istante. Monsignor Gisana ha mantenuto assoluta chiarezza sempre, ha collaborato con la Procura e ha consegnato tutto il materiale di cui era in possesso”.
Cosa farà lei adesso?
“Ho il desiderio di rivolgere una lettera alla comunità diocesana. Dinanzi al disorientamento che tutti avvertiamo non possiamo chiudere gli occhi: cerchiamo di far sì che da questa vicenda venga fuori l’opportunità di purificare la nostra scelta di fede”.