“Giorgia come ogni sabato è al ristorante con suo marito e le sue due bambine. Ad un tratto inizia a provare un intenso sentimento di paura, apparentemente senza una minaccia visibile, comincia a sudare, tremare, ad avere nausea, accompagnato da un senso di morte imminente e altre sensazioni fisiche, per una durata di circa 10 minuti, per circa un mese sono durati questi sintomi. Giorgia dopo il suo primo attacco di panico riferisce di aver interrotto tutte le sue attività extrafamiliari che le piacevano. Sembrerebbe che il suo disturbo da panico sia caratterizzato anche da una fobia, chiamata agorafobia”.

Cosa è capitato a Giorgia? Giorgia colta da una paura improvvisa è stata travolta da un attacco di panico. Questo disturbo è uno dei disturbi d’ansia più diffusi, caratterizzato principalmente da una forte paura e un’intensa ansia. Stati emotivi che se non si mantengono a un livello facilmente gestibile possono sfociare in un disturbo clinico. La paura come la rabbia, la gioia, la tristezza… in teoria sono tutte emozioni positive, in quanto ci aiutano in che cosa è equo o in cosa non lo è, ma a volte alcune di esse si manifestano decisamente in modo avverso, assorbendo energie e forza, al punto di essere definite “emozioni-parassite”. L’emozione è istantanea e impulsiva, di breve durata, e cessa dopo la scomparsa dello stimolo che l’ha prodotta. Ma quando questo non accade? Se è normale provare paura di fronte una situazione pericolosa, non lo è altrettanto continuare a sentirsi impauriti una volta che la situazione pericolosa è stata superata e si è appartati a casa propria, a ore di distanza del fatto. Di sicuro esistono anche emozioni positive che possono durare a lungo, per esempio la gioia provata dopo una vincita. Tuttavia le emozioni che tornano a torturare la mente, a distanza di tempo dallo stimolo che le ha originate, sono un campanello d’allarme e vanno approfondite con cura.
Dalla Paura alla Fobia
La paura educa ai pericoli e a come evitarli, ma se perde il collegamento con la realtà diventa un problema.
Un’affermazione molto valida ancora oggi è ciò che scriveva il filosofo latino Seneca: “Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli concreti che corriamo. Soffriamo molto di più per la nostra immaginazione che per la realtà“. Quando gli stati emotivi di paura non svolgono la funzione difensiva contro un pericolo, si va incontro a timori irrazionali e pericoli immaginari così intensi da impedire di vivere serenamente, ovvero a delle “fobie”. Le fobie sono migliaia e potenzialmente possono essere scatenate da qualunque evento, ma non sono invincibili (tra le fobie più particolari ricordiamo: Nomofobia, paura di essere lontani dal cellulare; Fobofobia, paura di avere paura; Ergofobia, paura del lavoro; Afefobia, paura di essere toccati). Il primo passo per affrontare una fobia è ammettere di esserne diventati prigionieri.
Cosa c’è dietro la Paura?
Piccole paure possono nascondere problemi irrisolti più o meno profondi, dei quali con il tempo si è negata l’esistenza e persa l’origine.
Di solito un soggetto fobico è consapevole di provare una paura assurda ma non riesce a controllarsi e a controllarla. Per proteggersi questi soggetti cercano di eliminare dallo loro vita tutti gli elementi che possono far scaturire la fobia unicamente escludendone la presenza. Quindi la paura di aver paura è talmente intensa che impedisce alla parte razionale della psiche di ricordare l’origine della paura. In questo modo si può comprendere che chi soffre di fobie cerca di eliminare situazioni o soggetti che scatenano la paura della loro vita, per loro non è facile ricordare che cosa ha scatenato il terrore, infatti a far sviluppare la fobia spesso sono paure di copertura che sembrano superficiali ma che invece descrivono un disagio profondo.
Come reagire di fronte a un’emozione negativa?
Con una strategia di controllo e accettazione. Si analizza l’emozione per capire quale tipo di pensiero negativo l’ha prodotta, gli si impone uno “stop” (che va visualizzato, a occhi chiusi) e si cerca poi di rovesciare il pensiero negativo in uno positivo. “Fallirò come in passato” può diventare per esempio, “Conosco i miei errori e posso evitarli”.
Se fare da soli non basta. Quando chiedere aiuto?
Quando un malessere diventa un compagno di vita, ci si può rivolgere a uno psicologo che aiuti a capire che cosa non funziona e come risolvere un problema (ad esempio iniziare un percorso da un collega psicoterapeuta).
Quando ansia, angoscia, paura e disperazione si presentano come sintomi, intaccando lo stato di benessere della persona, possono indicare un malessere più profondo. Comprendere la differenza tra una crisi passeggera e un disturbo cronico non è semplice. Chi soffre a volte cerca di evitare il problema o lo affronta in solitudine, provando vergogna a condividere il problema, peggiorando il suo stato psicofisico. Uno psicologo inizialmente può dare un punto di vista esterno e può indicare il percorso migliore per fronteggiare il proprio malessere. I segnali per chiedere aiuto che possono indicare una situazione psicologica di fragilità, dove può essere necessario uno specialista, potrebbero essere:

Cosa è capitato a Giorgia? Giorgia colta da una paura improvvisa è stata travolta da un attacco di panico. Questo disturbo è uno dei disturbi d’ansia più diffusi, caratterizzato principalmente da una forte paura e un’intensa ansia. Stati emotivi che se non si mantengono a un livello facilmente gestibile possono sfociare in un disturbo clinico. La paura come la rabbia, la gioia, la tristezza… in teoria sono tutte emozioni positive, in quanto ci aiutano in che cosa è equo o in cosa non lo è, ma a volte alcune di esse si manifestano decisamente in modo avverso, assorbendo energie e forza, al punto di essere definite “emozioni-parassite”. L’emozione è istantanea e impulsiva, di breve durata, e cessa dopo la scomparsa dello stimolo che l’ha prodotta. Ma quando questo non accade? Se è normale provare paura di fronte una situazione pericolosa, non lo è altrettanto continuare a sentirsi impauriti una volta che la situazione pericolosa è stata superata e si è appartati a casa propria, a ore di distanza del fatto. Di sicuro esistono anche emozioni positive che possono durare a lungo, per esempio la gioia provata dopo una vincita. Tuttavia le emozioni che tornano a torturare la mente, a distanza di tempo dallo stimolo che le ha originate, sono un campanello d’allarme e vanno approfondite con cura.
Dalla Paura alla Fobia
La paura educa ai pericoli e a come evitarli, ma se perde il collegamento con la realtà diventa un problema.
Un’affermazione molto valida ancora oggi è ciò che scriveva il filosofo latino Seneca: “Le nostre paure sono molto più numerose dei pericoli concreti che corriamo. Soffriamo molto di più per la nostra immaginazione che per la realtà“. Quando gli stati emotivi di paura non svolgono la funzione difensiva contro un pericolo, si va incontro a timori irrazionali e pericoli immaginari così intensi da impedire di vivere serenamente, ovvero a delle “fobie”. Le fobie sono migliaia e potenzialmente possono essere scatenate da qualunque evento, ma non sono invincibili (tra le fobie più particolari ricordiamo: Nomofobia, paura di essere lontani dal cellulare; Fobofobia, paura di avere paura; Ergofobia, paura del lavoro; Afefobia, paura di essere toccati). Il primo passo per affrontare una fobia è ammettere di esserne diventati prigionieri.
Cosa c’è dietro la Paura?
Piccole paure possono nascondere problemi irrisolti più o meno profondi, dei quali con il tempo si è negata l’esistenza e persa l’origine.
Di solito un soggetto fobico è consapevole di provare una paura assurda ma non riesce a controllarsi e a controllarla. Per proteggersi questi soggetti cercano di eliminare dallo loro vita tutti gli elementi che possono far scaturire la fobia unicamente escludendone la presenza. Quindi la paura di aver paura è talmente intensa che impedisce alla parte razionale della psiche di ricordare l’origine della paura. In questo modo si può comprendere che chi soffre di fobie cerca di eliminare situazioni o soggetti che scatenano la paura della loro vita, per loro non è facile ricordare che cosa ha scatenato il terrore, infatti a far sviluppare la fobia spesso sono paure di copertura che sembrano superficiali ma che invece descrivono un disagio profondo.
Come reagire di fronte a un’emozione negativa?
Con una strategia di controllo e accettazione. Si analizza l’emozione per capire quale tipo di pensiero negativo l’ha prodotta, gli si impone uno “stop” (che va visualizzato, a occhi chiusi) e si cerca poi di rovesciare il pensiero negativo in uno positivo. “Fallirò come in passato” può diventare per esempio, “Conosco i miei errori e posso evitarli”.
Se fare da soli non basta. Quando chiedere aiuto?
Quando un malessere diventa un compagno di vita, ci si può rivolgere a uno psicologo che aiuti a capire che cosa non funziona e come risolvere un problema (ad esempio iniziare un percorso da un collega psicoterapeuta).
Quando ansia, angoscia, paura e disperazione si presentano come sintomi, intaccando lo stato di benessere della persona, possono indicare un malessere più profondo. Comprendere la differenza tra una crisi passeggera e un disturbo cronico non è semplice. Chi soffre a volte cerca di evitare il problema o lo affronta in solitudine, provando vergogna a condividere il problema, peggiorando il suo stato psicofisico. Uno psicologo inizialmente può dare un punto di vista esterno e può indicare il percorso migliore per fronteggiare il proprio malessere. I segnali per chiedere aiuto che possono indicare una situazione psicologica di fragilità, dove può essere necessario uno specialista, potrebbero essere:
- Quando il disturbo è così impegnativo da peggiorare la qualità di vita.
- Quando l’intervento di medici, amici e parenti non è servito a migliorare le proprie condizioni.
- Quando si è preoccupati e si ha la sensazione di essere senza vie d’uscita.
- Quando si hanno comportamenti (o anche pensieri) che non si riescono né a controllare né a capire.
- Quando il disagio si riflette anche sull’organismo, causando insonnia, mal di testa, senso di oppressione, etc.
- Quando si ha bisogno di bere o di prendere droghe per sentirsi un po’ meglio.
- Quando si tende a pensare al suicidio in maniera ricorrente.
*Psicologo Clinico