Altro da cosa? Questa è la prima domanda. Questa rubrica nasce con lo spirito di indagare e riportare posizioni e prospettive diverse, voci solitarie e pensieri laterali.
Altro è sempre legato a una questione di identità, vi faccio un esempio: l’identità siciliana si esprime attraverso il fatto che se parliamo in dialetto gli altri (al di fuori dell’isola) non ci capiscono. Si potrebbero aggiungere poi gli elementi di tipicità. Per esempio l’arancino è senz’altro siciliano. Eppure le arance a cui rimandano sono arabe e il ragù che si prepara con il pomodoro non ci sarebbe, se non si fossero incontrati quegli altri, gli americani. Da che momento si stabilisce quello che è originale o tradizionale? Chi siamo noi e chi sono gli altri?
Non è più solo una questione culinaria, limitabile alla citazione relativista “de gustibus”, sostenendo con veemenza che i nostri antichi non si sbagliavano e il mistero è risolto! Perché la tradizione, la tipicità, l’identità sono tutti processi che si costruiscono che si preservano, che si negoziano nella cultura e che  spesso alzano muri e sconfinano in eventi di purezza, di razza. Tutto parte dal mangiarsi un pezzo di tavola calda e finisce per chiedersi chi siamo, e cosa difendiamo quando impauriti grideremmo al mondo “che ognuno stia a casa propria” e che ci stanno togliendo la nostra cultura. Io per esempio sono abbastanza convinta che la cultura sia qualcosa di più di un diritto di proprietà.
Nel mondo globale il timore che ci viene continuamente trasmesso, spesso colpevoli i giornali, è quello del livellamento delle identità, che gli incontri sono pericolosi, che dobbiamo difenderci, che vogliono privarci delle nostra cultura oppure, al contrario, che non esiste la diversità e che la globalizzazione ci sta annullando.
A me non hanno mai convinto le strategie del terrore!
In antropologia culturale, la mia disciplina di formazione, ho appreso il principio che siamo circondati da mondi complessi. L’antropologia nasce proprio dalla necessità di conoscere gli altri, in seguito alle spedizioni coloniali. Questi altri erano definiti i selvaggi e la loro cultura era considerata esotica e primitiva. Eppure oggi sappiamo benissimo che selvaggio è stato sottomettere culture e privarli della libertà e dell’ indipendenza di cui erano dotati. Definire gli altri selvaggi serviva per definire noi (gli occidentali) come civilizzati e avere una buona scusa per sottometterli ed espandere il nostro dominio. Viviamo spazi diversi e una simultaneità di eventi, abbiamo bisogno di conoscere e approfondire il tema dell’alterità, degli altri, degli alternativi e dell’altrove per misurarci con la complessità del mondo e per gioire dell’eccezionalità e della pluralità delle voci.
Se vi interessa allora ci vediamo un’altra volta…
 
di Valentina Rizzo