Visitando la Grecia e suoi straordinari siti archeologici un’immagine compare costante: i cartelloni che riportano diligentemente le cifre dei finanziamenti ricevuti dalla Comunità Europea. Peccato che, fatti salvi i siti più noti e visitati, la maggior parte di quei cartelloni fa da sfondo a vere e proprie discariche a cielo aperto che lasciano intendere che quei fondi, evidentemente, potevano essere spesi meglio. O, quantomeno, che il Ministero della Cultura greco ha qualche problema con la manutenzione e la gestione dei suoi siti archeologici.
Problema atavico e diffuso, che noi Italiani conosciamo bene. I politici di solito usano il patrimonio culturale come sfondo d’effetto quando ospitano meeting internazionali o per fare bella figura all’estero con l’ormai trito e ritrito discorso sull’eccellenza della cultura italiana.
E’ evidente che negli ultimi anni la Grecia ha avuto problemi più gravi della manutenzione dei siti archeologici. Il paese è stato colpito dalla più grande crisi economica dell’era moderna, si sono chiusi ospedali e sono state licenziate migliaia di persone.
A fronte di una tale situazione, si presenta al Ministero della Cultura greco un signore che rappresenta un noto marchio del Made in Italy per chiedere di organizzare una sfilata di 15 minuti sull’acropoli, con il Partenone come sfondo. Chiaramente, il tutto in cambio di un’offerta di denaro, quantificata in 2 milioni in opere di restauro del più rappresentativo monumento della grecità, più 55 milioni in diritti per lo sfruttamento dell’immagine. Almeno queste sarebbero le indiscrezioni. Per capirci, niente a che vedere con i 23 milioni di euro scarsi dati da Della Valle per associare al marchio Tod’s il logo del restauro del Colosseo per 30 anni!
La Grecia ha rifiutato quei soldi. E i soliti soloni italici hanno subito issato la bandiera di rivoluzionari da salotto gridando alla vittoria della libertà e della dignità della cultura greca. Insigni studiosi, per far intendere quanto sia profondo il valore simbolico del Partenone, hanno portato a paragone addirittura l’onta subita dalla bandiera nazista issata sul Tempio. Mah…
La ragione addotta per il rifiuto dal corrispettivo greco della Soprintendenza è stata la mancanza di necessità di pubblicità per il Partenone. Nessuno mette in dubbio il fatto che tutti i cittadini europei e tanti turisti d’oltreoceano (ma forse non così tanti come pensano al ministero greco) conoscano o abbiano visitato il Partenone.
Forse il Partenone in sé non avrà bisogno di pubblicità, ma magari i siti archeologici della Grecia tutta potrebbero aver bisogno di fondi per i restauri e per il finanziamento di nuovi progetti culturali. E in una fase storica in cui lo Stato ha difficoltà a garantire la sanità, la scuola e gli stipendi per i dipendenti pubblici, dove sarebbe la grande vittoria nel rifiutare un tale finanziamento privato? Quale offesa avrebbe apportato al Partenone una sfilata di Gucci? Quale sacrilegio che non abbiano già compiuto le migliaia di visitatori che ogni giorno pascolano, si siedono e bivaccano sui monumenti dell’acropoli?
Perché il turismo di massa va bene ma una sfilata di 15 minuti no? Forse l’alta moda non è cultura? Forse il mondo della moda non è considerato all’altezza di un monumento come il Partenone?
L’elemento che genera più dispiacere della vicenda è che Gucci, uno dei marchi storici del Made in Italy, abbia scelto un monumento greco e non uno italiano. E bene ha fatto il direttore della Valle dei Templi di  Agrigento ad offrire i magnifici templi siciliani per ospitare la sfilata. Speriamo che l’azienda accetti, perché sarà un’occasione di promuovere e sostenere la realizzazione di progetti in favore del patrimonio archeologico siciliano.
Piacerebbe a tutti vedere la Cultura come prima voce nel bilancio dello Stato, ma purtroppo così non è, non è mai stato ed è facile prevedere che non lo sarà a lungo. E questo è il motivo per cui il mondo della Cultura italiana, istituzioni pubbliche in primis, ha saputo mettersi in discussione, rinnovarsi, uscire dal proprio intellettualistico isolamento e si è aperto alla collaborazione con i privati. Nel nostro paese succede da 25 anni ormai e senza il contributo dei privati tante iniziative, nuovi musei, mostre, anche in luoghi pubblici, non avrebbero mai potuto vedere la luce. Un tempo si chiamava valorizzazione, ora pare sia diventata un novello diavolo tentatore. La vicenda Gucci, forse può essere difficile da capire per una generazione che poteva scegliere se lavorare nell’Accademia o nel Ministero a proprio piacimento, o che poteva bussare alle porte di un sottosegretario qualunque e vedersi finanziati scavi o progetti.
Ma a chi vive nel mondo reale, quello del 2017, fa solo piacere sapere che Gucci avrebbe preferito finanziare l’archeologia greca piuttosto che le dune saudite o i musei cinesi. E non perché le nuove generazioni sono votate al dio denaro o al privato ad ogni costo, ma forse perché la condizione di precarietà diffusa e lo scarso riconoscimento per le competenze impone un realismo che altri non hanno mai dovuto assaggiare.

di Valentina Di Stefano
Archeologa