QUARANTENA ALLA FINESTRA
Dentro è quarantena. 
Fuori è primavera a quanto pare. Sarà che la natura si fa beffe di noi lasciando che i raggi del sole aprano le nuove danze con passi di colori pastello, di freschi profumi e di sapori leggeri.
Noi intanto rinchiusi tra mura e pareti, mentre i pensieri, anch’essi ingabbiati, sinuosamente cercano spazio tra le ante socchiuse di finestre squadrate, che tanto bramiamo di spalancare, per vagabondare lontano o magari volare.
Libere fantasie, concepite ogni mattina alla finestra della cucina, tra il gorgoglio della caffettiera e il tintinnio del cucchiaino contro la tazzina. Perché sia essa buia o luminosa, piccola o spaziosa rimane comunque il luogo ideale dove pensare tra onirico e vero.
Tra il basso volume di TV sempre accesa, tra crepitii di un pacchetto che avvolge brioches, accartocciato da gesti veloci, tra crocchi e sgranocchi di Pringles fragranti addentate da bocche voraci, tra lenti bollori di un sugo rosso corallo e effetti sonori dell’olio della frittura, la cucina è scrigno di suoni. È anima pulsante di case ed alloggi, è della musica partitura con note di fumo danzante e miscellanea di rumori a cui solo il pensiero sa dare armonia e che sa orchestrare per continuare a vibrare e rifuggire il silenzio.
Che i pensieri, se sono creativi, vogliono l’aria, gli odori, i suoni e i rumori.  Vogliono vita che corre e che scorre.
Lo vogliono i miei che, mentre osservo, da dietro un vetro, la campagna lì fuori, si fanno spazio, sorpresa e stupore della mignolatura dell’ulivo e della fioritura degli alberi da frutto, dello scodinzolare di un cane e del battito d’ali di due colombi che hanno ora fermato il volo sui fili invecchiati che reggono i panni stesi ad asciugare dalle prime ore del mattino e che, trattenuti da mollette di legno sopravvissute ai freddi dell’inverno passato, si muovono a ritmo lento.
Saranno di certo un lui e una lei che, dopo la pausa e il breve riposo, un po’ si sollevano e un po’ si lasciano vibrare dal vento. Colombi che, magari vorranno tubare, compagni di vita, di volo e di cielo.
Due voli e due ali ciascuno ma insieme e all’unisono ne fanno uno solo. Una somma che non è sottrazione.
Li guardo e mi pare un inno all’amore e alla pace, una Pasqua che lascia ancora l’eco e la traccia, un segno da interpretare, come quel volo al di sopra dei tetti, con contorni di arancio e marrone, al di sopra degli alberi in fiore e del prato con macchie violette che, senza contorni, affondano o spuntano tra ciuffi di un’erba bagnata da una rugiada non ancora svanita.
Un amore sul filo dei panni e di piume dipinte di bianco su un cielo azzurrino, tra l’edera e i primi germogli di una pianta di ciclamino che fa da sipario a quel volo e a quelle figure geometriche appena tracciate dall’aria e di cui rimane memoria visiva e affettiva.
Ed io alla finestra che guardo lì fuori, tra luce e riflessi di una zanzariera, con ritrovato stupore infantile, tra odori e rumori della mia cucina, mi immergo in un mondo che non ha gravità e scevro dal negativo ma dove l’inafferrabile si lascia afferrare.
Intanto riprendo i pensieri che, a quanto pare, non sono poi andati lontano a vagare.
Si sono fermati su un filo invecchiato, di fronte alla casa, vicino alla legna, non oltre il confine del mio vicino.
Riguardo e sorrido, ripenso e rifletto che questo è Chagall. E in quarantena, tutto sommato, anche un artista è a portata di mano.
Irene Varveri Nicoletti