di Giovanni Vitale

“Pippo non lo sa che quando passa ride tutta la città (…) Sopra il cappotto porta la giacca e sopra il gilè la camicia”.
La canzonetta degli anni ’30, portata al successo da Rita Pavone sul finire dei ’60, ci parla di un tizio ‘scombinato’, che non si veste come è d’uso, cioè che è disordinato rispetto al ‘modello sociale vigente’.
Ecco che un comportamento individuale assume rilievo, e significato, collettivo: esso comunica qualcosa di diverso, non conforme all’orientamento sociale in cui avviene, provocando perfino una determinata reazione: fa ridere tutti!
Su cosa tutto ciò significhi, esattamente, ci si è interrogati a lungo e da vari punti di vista, analizzandolo nella prospettiva delle diverse scienze umane: l’antropologia, la sociologia, la psicologia, la linguistica e, infine, la semiologia.
Già all’inizio del secolo scorso A. Kroeber, antropologo americano, cercava di capire da cosa dipendesse “la lunghezza delle gonne” nella moda, ovviamente occidentale. Dopo una lunga e dettagliata ricerca di alcuni decenni, concluse che venivano accorciate o allungate “ciclicamente”, cioè in modo continuo e graduale, in un verso o nell’altro e che eventuali accelerazioni o rallentamenti avvenissero in concomitanza con gravi accadimenti che, in qualche modo, sconvolgevano la normale vita sociale. Essendo Kroeber un sostenitore dell’assoluta autonomia dei fenomeni culturali rispetto a quelli naturali, la sua ricerca contribuì a spostare decisamente la questione del ‘costume’, e dunque il modo di vestirsi, verso ambiti di studi sociologici.
Per considerare, però, comportamenti ‘devianti’ quale è quello della succitata canzone, non si può certo escludere un’analisi psicologica, almeno per cercare di capire cosa spinge a un simile comportamento il tale individuo, ovvero se si tratta della manifestazione di una determinata nevrosi oppure, ad esempio, di una progettata azione creativa. A seguito anche la linguistica moderna ha cercato di spiegare, seppure parzialmente, che cosa l’abbigliamento comunichi e in che modo i suoi significati sono ‘strutturati’.
È stato partendo da tali indicazioni però che, fra gli anni ’50 e ‘60, R. Barthes non solo è riuscito a comporre un’analisi effettivamente ‘sistematica’ del fenomeno della MODA ma, determinando la significazione dei suoi componenti, ha posto le basi per la stessa semiologia, descrivendo con precisione il senso dei ‘segni’ che il vestiario comunica. Ha così anche separato tali significati da altri linguaggi, distinguendo peraltro fra “la moda reale e ciò che di essa si racconta”, collocandone altresì l’analisi – come ha chiarito G. Marrone, docente di semiotica all’università di Palermo – nel contesto storico della ‘società di massa’ in cui il senso di quei messaggi si concretizza.
Così ora siamo in grado di capire esattamente “perché” Pippo faceva ridere la città!