di Irene Varveri Nicoletti

Bella come una notte stellata e ubriaca come una scimmia. Eccomi qua nonna, tu che mi guardi con compatimento ed io con in mano un calice di champagne mezzo vuoto. Adesso siamo sole adorata nonnina, puoi redarguirmi se vuoi; dei miei ospiti ricchi e annoiati non rimane che qualche avanzo di caviale e l’eco del ricordo degli ultimi rumori della festa che serpeggiano per la sala. I rombi di motore delle loro fuoriserie sono ormai polvere sollevata nel viale e non copriranno i tuoi sermoni. Vuoi ergerti su un pulpito di moralità? Dimmi, dovrei andare a dormire, lavare il mio bel viso e svegliarmi profumando di sapone alla lavanda?
No, io vivo ai margini. Per me non si applicano le regole della società normale.
Io profumo di mondanità, sono un bouquet della couveè della maison Luois Roederer e potrei farci anche il bagno dentro la spuma di queste bollicine dall’ineguagliabile eleganza cristallina.

Eh sì, nonna Clementine, sono rimasta la tua piccola bambina viziata, quella che tanto amavi, cresciuta in bilico tra le bugie e i sogni, tra la seduzione e la trasgressione.
Non vorrai rimproverarmi per le mie menzogne! Almeno non tu che sei della mia stessa sostanza…
Che, poi, cos’è la verità? Io voglio edulcorare l’amara sgradevolezza della realtà e dare alla mia vita la bellezza di un’opera d’arte. Renderla unica al pari della mia pittura, nuova, luminosa e riconoscibile perché solo mia e che mi ha fatto acclamare regina dell’Art Dèco.
Il resto che importa, è trama di verità intessuta di mondanità per l’abito elegante su misura che indosso.

No, adorabile nonnina, non sono nata a Varsavia nel 1898. Tamara de Lempicka è nata a Mosca nel 1902.
Mi piace di più, ho deciso così.
Russa e nobile e non una bella bambina polacca con un padre suicida.
Bella sì, anche da grande. Due occhi chiari, capelli biondi, un profilo greco, labbra rosso carminio ed un corpo desiderabile con l’etichetta di ebrea!

Suvvia! Non è il caso di passare in rassegna inutili dettagli. A che servono?
Per quel che può contare poi un’etichetta, utile al massimo a dare un altro tocco di classe alla mia eleganza. E quella, nonna, non mi è mai mancata anzi mi è servita per avere un bell’uomo al mio fianco che mi diceva quanto fossi bella o quanto grande fosse la mia arte.
E questo l’ho sempre desiderato e l’ho ottenuto. E cosa potrei bramare di più? La mia fama mi precede, sono una donna d’oro come disse quel nano italiano che tutti chiamavano Il Vate, così stupidamente insistente nel suo corteggiamento e che rifiutai, perché un gioco per me vale la candela quando a condurlo sono io.
I tuoi giochi nonna, erano invece così diversi. Sei stata l’unica a cui ho fatto dettare le regole e tu, che mi adoravi, mi davi vinta ogni partita, non mi hai negato niente, sei sempre stata generosa.
Mi hai fatto viaggiare in Italia per farmi innamorare dell’arte, hai scelto per me, per assicurarmi un’eccellente istruzione, il miglior collegio svizzero e poi, da un giorno all’altro, sei sparita.
Che gioco era mai quello? Perché non sei più riapparsa? Cos’era un rimpiattino?
Rispondi nonna Clementine! Dillo adesso. Eh già, non vuoi rispondere per l’unico torto che mi hai fatto.
Ti senti in colpa, dì la verità.
Ma cosa chiedo mai! Se proprio tu mi hai insegnato a guardare il mondo da un prisma e a fare di ogni regola un punto di vista.
Ho dovuto darmi da fare quando non ti ho più trovata, sai? Ho conquistato però Tadeusz, l’aristocratico più conteso dalle donne di San Pietroburgo. Per conoscerlo mi sono presentata ad una sua festa vestita da guardiana di oche, con due oche vive al seguito.
Gli uomini!
Ci credono tutte un po’ oche e che l’abbia creduto o meno pure lui poco importa perché l’ho sposato, impadronendomi del suo bel bagaglio di nobiltà e del suo cognome che ho fatto mio.

Povero Tadeuz!
Arrestato dai bolscevichi e liberato grazie a me. Una donna sa bene quali conoscenze sfruttare e quali armi adoperare al momento opportuno.
So che non mi condannerai, avevo uno scopo da ottenere ed era necessario sfoderare il mio sorriso maliardo tra gli uomini più influenti della Russia rivoluzionaria per puntare ai salotti dell’alta società Parigi.
Era una scelta obbligata nonna, dettata da quel gusto che tu stessa hai contribuito ad affinare, era una ricerca di stile cominciata ancor prima della mia pittura, che si era formata in ogni percezione, in ogni attimo di vita, che mi ha spinto ad agire per partire.
Da rifugiata è vero, costretta a vivere in ristrettezza economica, ma era un percorso obbligato, un sentiero irto di difficoltà da superare ma necessario da affrontare per diventare l’artista che sono. Ho disegnato perfino cappellini prima di far confluire in me il cubismo e il neoclassicismo e superarli concependo un’arte nuova, che è solo mia e che fa di me, l’inimitabile Tamara de Lempicka.
Beh, poi con mio marito non è durata a lungo, però avevo Kizette che forse non amo quanto tu hai amato me ma l’ho sempre ritratta nei miei quadri. Ed io amo tutto ciò che ritraggo: Kizette, uomini e donne …
Non ne ho mai fatto un mistero.
Suvvia nonna, vuoi che ti dica di Rafaela e della Duchessa de La Salle?

Loro sono nella mia vita costellata da dettagli scandalosi, il miglior frutto che i ruggenti anni Venti potessero produrre. Sono quasi un personaggio uscito dalla penna di Fitzgerald, una Daisy al volante di una Bugatti verde. Fredda, malinconica e irraggiungibile ed anche lontana da tutto nonna, pur vivendo adesso nel cuore di opulenta New York con un nuovo marito.
Ho lasciato alle spalle la prima Grande Guerra e mi sono ubriacata di vita celebrando il mio successo, conquistando il nuovo mondo e facendomi sedurre dalla sua frenesia.
Ora da qui, protetta da un vetro guardo l’Europa in guerra che brucia di nuovo, dall’America dei wasp che contano e che animano le mie serate.
Ma stasera la festa è finita nonna, non è rimasto nessuno oltre te ed il mio calice di champagne.
Non lasciarmi anche tu.
Non stasera, non di nuovo.
Non andare via, rimani con me nonna Clementine.
Senza te sarò di nuovo disperatamente sola…
Era il 1943 e l’artista Tamara de Lempicka, in una lussuosa dimora newyorkese al termine di una festa mondana chiedeva alla nonna, morta prima della rivoluzione russa, di farle compagnia.

Completamente ubriaca ed in preda alle allucinazioni, aveva parlato con il suo riflesso allo specchio mentre le lacrime, solcando il trucco, le avevano trasformato il volto in una maschera.
NB: storia liberamente ispirata alla vita di Tamara de Lempicka