Fine vita e libertà di scelta. La Sentenza della Corte Costituzionale 135/2024.
Quando si affrontano temi che, come questo, vanno a coinvolgere la coscienza delle persone, la “risposta” più semplice è quella di evitare di parlarne, come sta facendo il legislatore, oppure di essere contrari, ma sono convinto che, umanamente, la sofferenza provata delle persone meriti, invece, una risposta che deve essere attenta e fondata sulle testimonianze di chi si trova, suo malgrado, in condizioni personali di estremo disagio.
Il 18 luglio c.a. la Corte Costituzionale ha depositato la sua decisione in merito al caso in discussione presso il Tribunale di Firenze (il quale aveva sollevato la questione di legittimità), nel procedimento penale che vede indagati M.C., C.L. e F.M. per il delitto di cui all’art.580 del c.p., “per avere organizzato e poi materialmente eseguito l’accompagnamento di M.S. presso la clinica svizzera dove, l’8 dicembre 2022, lo stesso è deceduto in seguito a procedura di suicidio assistito”.
Si tratta di un altro episodio di “disobbedienza civile”, con la quale i rappresentanti dell’Associazione Luca Coscioni – Associazione di Promozione Sociale – si battono da anni per ottenere il varo di una legge sul fine vita, alla quale in Italia pare che i Governi succedutesi nel tempo non vogliano dare risposta, costringendo le persone meno fortunate a doversi recare in Svizzera per porre fine alle loro sofferenze, lontani da casa e con ingente dispendio economico.
La precedente pronuncia della Consulta.
La Corte si era già espressa con un’importante Sentenza, la n.242 del 2019 nota come “Cappato/D.J. Fabo”, vicenda che aveva avuto rilevante notorietà anche grazie a una serie di interventi della trasmissione televisiva “Le Iene”. Questa Sentenza della Corte aveva stabilito la non punibilità, come invece prevista dal codice penale, per coloro che agevolano l’altrui suicidio (come nel caso di semplice accompagnamento presso una clinica svizzera, per esempio); questo, tuttavia, solo a determinare condizioni:
1-che la patologia sia irreversibile;
2-che siano presenti sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili dal paziente;
3-che il paziente sia nella capacità di prendere decisioni libere e consapevoli;
4-che il paziente sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
La Corte aveva, inoltre, sollecitato il legislatore a porre rimedio alla mancanza di una normativa sull’argomento, legge che ad oggi non esiste ancora, lasciando nella facoltà delle varie aziende sanitarie regionali italiane di agire come ritengono opportuno in seguito alla richiesta di assistenza per un suicidio assistito, anche di negarlo, come spesso accade, costringendo il richiedente a ricorrere al Giudice competente o ad “emigrare”.
La novità introdotta dalla Consulta con la nuova Sentenza 135/2014.
Nella Sentenza del 18 luglio la Corte ha focalizzato la sua attenzione sul quarto punto sopra esposto, ossia sulla “necessità di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale”, ampliandone il significato: il Giudice, nel valutare le richieste dei pazienti che avessero ricevuto il diniego al trattamento da parte dalla ASL, dovrà considerare non solo il caso in cui tale persona sia dipendente da “macchine”, ma anche da “pratiche” effettuate quotidianamente dai suoi assistenti, come ad esempio l’evacuazione manuale, l’inserimento di cateteri o l’aspirazione del muco dalle vie bronchiali.
La Sentenza non ha ancora, pertanto, eliminato completamente l’esigenza della dipendenza da trattamenti vitali.
Il Governo si era costituito in giudizio contro gli imputati dell’Associazione Coscioni, sostenendo l’inammissibilità  della questione di legittimità e che la Consulta non avrebbe dovuto neppure dare una risposta al collegio difensivo circa l’asserito carattere discriminatorio del criterio del “trattamento di sostegno vitale” che, così come era scritto, escludeva molte tipologie di casi riguardanti persone affette da patologie irreversibili e da sofferenze insopportabili dal diritto, reclamato, di accedere all’aiuto alla morte volontaria. Inoltre, per supportare la sua tesi, l’esecutivo aveva richiesto l’intervento anche un altro organo: il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB), raccomandando un’applicazione il più possibile restrittiva del “trattamento di sostegno vitale”.
L’epilogo dalla vicenda.
È di rilevante importanza che i Giudici abbiano ammesso la testimonianza di due malate di sclerosi multipla, non direttamente interessate alla vicenda, in quanto la decisione non avrebbe determinato effetti “immediati e diretti” nei loro confronti. L’episodio, infatti, riguardava un’altra persona che era affetta dalla stessa patologia; in questo caso, la Corte ha tenuto un comportamento desueto e differente dalla sua costante giurisprudenza, contraria a tale tipo di testimonianze.
Recita la Sentenza, citando prima tutte le premesse che, in teoria, non avrebbero consentito la facoltà di “parola” alle testimoni, “CHE TUTTAVIA… non possono non tenersi presenti le argomentazioni della difesa delle stesse, secondo cui l’evoluzione delle rispettive patologie rischierebbe di non consentire loro, in pratica, di far valere in tempo utile le proprie ragioni…in una questione che coinvolge la vita stessa delle intervenienti, la Corte è in particolar modo tenuta ad assicurare tutela al diritto di difesa nella sua essenziale dimensione di effettività…pertanto, L.S. e M.O. sono legittimate a partecipare al presente giudizio”.
L’indulgenza dei Giudici, che non si sono sottratti ad ascoltarne le loro struggenti testimonianze, in tal modo, ha restituito a queste due donne (una giornalista e un’architetta entrambe di soli 49 anni) la possibilità di continuare a lottare per difendere con dignità la loro esistenza, così come per tante altre persone che attendono ancora una legge chiara sul loro lecito diritto a essere liberi di scegliere, sino alla fine.
Una vertenza analoga incombe sulla politica in seguito alla questione di legittimità sollevata con ordinanza il  21 giugno 2024 dal GIP di Milano; la Consulta si trova, suo malgrado, ad essere protagonista per l’assenza della politica.