Regime fiscale forfettario. I problemi che potrebbero sorgere nella sua applicazione.
Su cosa porre attenzione al fine di evitare errori e sanzioni.
Il caso di imprenditori pensionati.

Il regime forfettario, previsto dalla Legge 190/2014 art. 1, commi da 54 a 89 e successive modifiche e integrazioni, è indubbiamente un regime “appetibile” per molte attività, in modo particolare per quelle che necessitano di una ridotta spesa per il loro esercizio (essendo, i costi sostenuti, non deducibili dal fatturato), come le attività professionali; queste, infatti, inizialmente sono spesso svolte nella sede e con l’impiego di mezzi messi a disposizione dai colleghi con più anzianità e regimi contabili ordinari.
Verificati i pochi requisiti necessari, optare per regime forfettario in sede di inizio attività è relativamente semplice, ma questo non deve indurre a trascurare gli accadimenti degli anni successivi, che potrebbero causarne la “fuoriuscita”.

Il superamento della soglia di fatturato ammessa.
La perdita dei requisiti necessari, primo tra tutti il superamento del limite di fatturato di 85.000,00 euro, determina l’impossibilità di applicare il regime. In modo particolare, ove il fatturato realizzato fosse maggiore di 100.000,00 euro, gli effetti sarebbero infausti, in quanto occorrerebbe ricostruire tutta la contabilità dell’anno in corso, con il relativo assolvimento delle imposte non versate. Qualora il fatturato si collocasse invece tra 85.000,00 e 100.000,00 euro, la fuoriuscita dal regime forfettario avrebbe validità a partire dal primo gennaio del successivo anno.
Gli effetti relativi agli obblighi contributivi.
In ogni caso, il contribuente che fuoriesce dal regime forfettario lo dovrà comunicare dall’Inps, qualora in precedenza avesse optato per la riduzione facoltativa del 35 percento dei contributi obbligatori dovuti all’Istituto.
I contribuenti pensionati che proseguono nell’esercizio dell’attività.
Più problematico il caso contrario, ossia nell’eventualità in cui il titolare di partita iva, già in attività applicando il regime ordinario, si trovasse nella possibilità di fruire del regime forfettario per il successivo anno; ne sono d’esempio i casi diffusi che interessano gli imprenditori che, avendo raggiunto l’età pensionabile, intendano proseguire nell’attività fruendo del vantaggio della non cumulabilità della pensione con il reddito del contribuente forfettario, soggetto a tassazione separata (sempre ove ne sussistano i presupposti). Tale imprenditore non dovrà semplicemente applicare il regime forfettario, ma sarà bene che valuti attentamente e in modo preventivo la sua posizione. In primo luogo, nel caso di sussistenza di rimanenze finali al 31 dicembre, le dovrà quantificare e indicare nella dichiarazione IVA, in modo tale da “restituire” all’erario l’imposta sul valore aggiunto detratta in precedenza; tale adempimento precede la dichiarazione dei redditi, e per tale motivo la quantificazione delle rimanenze dovrà essere particolarmente attenta.
Ancora più importante, anche se talvolta trascurato, l’obbligo di restituzione all’erario dell’IVA detratta sull’acquisto dei cespiti ammortizzabili nei cinque anni precedenti, non in toto ma dividendo per cinque l’Iva detratta e versando quella relativa agli anni che mancano ad ultimare il quinquennio. Ne rimangono esclusi i beni ammortizzabili di qualsiasi valore acquistati da oltre cinque anni e quelli di valore inferiore a 516 euro, per previsione di legge.
Tutte queste peculiarità, che non esauriscono comunque quello che potrebbe verificarsi durante l’esistenza di un contribuente forfettario, presumo rendano evidente che, quando si affrontano temi riguardanti la fiscalità, non occorre mai sottovalutare nulla o, peggio, darlo per scontato; le possibili conseguenze di errori commessi potrebbero essere di notevole rilevanza, anche perché la normativa è chiara e lascia poco margine per giustificare eventuali omissioni.