Il fenomeno delle false partite IVA e collaborazioni.
Le cosi dette “false partite iva” rappresentano un fenomeno sempre di attualità. Con tale termine si vuole definire non un’attività che è inesistente perché non censita dall’anagrafe tributaria dell’Agenzia delle entrate, bensì un’impresa o un lavoratore autonomo che sono regolarmente costituiti, assolvono gli adempimenti richiesti e dovrebbero versano le imposte restando, tuttavia, la loro posizione carente dei requisiti tipici del lavoro autonomo.
In materia di diritto del lavoro, infatti, per distinguere il lavoro autonomo da quello dipendente, prevale senza alcun dubbio la “modalità effettiva” tramite la quale si svolge la collaborazione, e non la “forma” che le parti le vorrebbero attribuire tramite accordi che rimangono meramente sulla carta.
È prassi diffusa che l’imprenditore o il committente facciano “firmare” alla “falsa partita iva” accordi nei quali si ripete, in più di un’occasione, l’intenzione dei contraenti di concludere un contratto dove sia fissata l’autonomia del lavoratore, ma che nelle vicende di tutti i giorni sono di ben altro tipo; questi accordi sono approvati dal collaboratore in quanto sono descritti come la sola modalità per poter prestare la propria opera, manuale e/o intellettuale, a favore dell’organizzazione committente.
Il collaboratore non deve dubitare che il mero fatto di averli accettati “sani” in qualche modo una situazione illegittima.
L’articolo 2094 del codice civile, prevede che “è prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Non ha rilevanza il fatto che la remunerazione sia corrisposta tramite l’emissione di una fattura, né tantomeno che sia pattuito nel contratto che si tratta di una collaborazione di carattere autonomo o, ancora peggio, ove non venga fatto stipulare nessun contratto, basando tutto su accordi verbali.
Il modo di svolgimento di queste presunte “collaborazioni professionali”, attuate tramite partita iva, sono connaturate, nella realtà, per essere:
1-Esclusivamente personali, senza impiego di attrezzature personali e di costi relativi al servizio da svolgere da parte del collaboratore;
2-Continuative, protraendosi a tempo indeterminato nell’interesse del committente;
3- Etero dirette, caratteristica che frequentemente si manifesta con l’imposizione da parte del “datore di lavoro” dei modi di esecuzione delle prestazioni, ravvisandosi in tal modo l’integrazione e lo stabile inserimento nell’organizzazione del datore di lavoro; le prestazioni sono eseguite su “ordine” del committente;
4- Svolte in regime di mono committenza, con fatture e compensi erogati su base oraria dal datore di lavoro e spesso solo in modo fittizio “intervallato” da fatture a terzi che nella realtà sono clienti del datore di lavoro e non del collaboratore;
5- Potere disciplinare del committente, il quale può applicare multe al collaboratore ove questo non osservi gli obblighi di fedeltà, obbedienza e diligenza.
Questi tipi di collaborazione, anche se riflettono solo alcuni caratteri di quanto descritto, non possono considerarsi genuine.
Il prestatore d’opera ha diritto a vedersi riqualificare il rapporto di lavoro instaurato da autonomo a subordinato, con le conseguenze che ne possono discendere, la cui entità potrebbe essere molto gravosa per il datore di lavoro.