di Irene Varveri Nicoletti
A pochi giorni dal Natale può sembrare anacronistico, addirittura fuori luogo, parlare di Natale in senso cristiano. Eppure, proprio in queste settimane due interventi trasmessi sui principali canali della televisione italiana hanno riportato al centro dell’attenzione pubblica il significato più vero e rivoluzionario del messaggio cristiano: l’amore come forza che disarma il potere. Roberto Benigni, con il suo monologo “Pietro – Un uomo nel vento” trasmesso in prima serata su Rai 1 dal cuore della Città del Vaticano, ha raccontato la figura di San Pietro con linguaggio appassionato e intenso, raggiungendo quasi quattro milioni di spettatori.
Pochi giorni dopo, il teologo Vito Mancuso è stato ospite di Lilli Gruber su La7, dove ha articolato una riflessione critica sul senso autentico dei valori cristiani nel dibattito pubblico contemporaneo
Il cristianesimo nasce infatti come una rivoluzione disarmata. Non propone un progetto politico né un sistema morale identitario, ma una trasformazione interiore fondata sull’agape, l’amore incondizionato. Il vero scandalo del Vangelo non è l’invito ad amare il prossimo, ma l’esigenza estrema di amare persino i nemici, un comandamento che spezza la logica dell’amico e del nemico su cui si fondano tutte le ideologie.
La narrazione di Roberto Benigni dedicata a San Pietro restituisce questa verità nella sua forma più concreta e umana. Pietro non è un eroe, né un modello di coerenza: è l’uomo che crede e dubita, che promette fedeltà e rinnega per paura. Eppure, è proprio su di lui che Cristo costruisce la sua Chiesa. Quando il Signore Risorto gli chiede: «Mi ami tu?», non gli chiede conto del tradimento né pretende espiazioni o prove di forza. Gli chiede soltanto amore. È un passaggio decisivo: la comunità cristiana non nasce sulla purezza, ma sulla misericordia; non sulla forza, ma sulla fragilità accolta.
Una prospettiva analoga emerge dalle riflessioni di Vito Mancuso, che ha criticato l’uso politico della triade “Dio, Patria, Famiglia”, spesso ridotta a slogan identitario. Quando Dio viene associato al potere o alla forza, smette di essere il Dio del Vangelo e diventa uno strumento di legittimazione. Per questo Mancuso invita a cercare il senso autentico di quelle parole nei luoghi della verità esistenziale, dove ogni sovrastruttura ideologica cade.
È in questo orizzonte che richiama le lettere dei condannati a morte della Resistenza. In quelle righe finali, scritte prima dell’esecuzione, l’invocazione a Dio Padre e l’ultimo pensiero alla famiglia non sono retorica politica, ma parole essenziali, pronunciate sull’orlo della morte. Il Padre che emerge da quelle lettere non è un dio guerriero, ma il principio ultimo del Bene e della Giustizia; la famiglia non è un’istituzione da difendere, ma il legame d’amore più intimo e irrinunciabile. Spogliati di ogni uso ideologico, questi valori rivelano la loro natura universale.
Il Natale celebra proprio questa rivoluzione silenziosa: un amore che disarma il potere, accoglie la fragilità umana e restituisce senso anche al sacrificio estremo. In un tempo segnato da guerre, muri e divisioni, il cristianesimo continua così a proporsi come un appello universale alla misericordia e alla giustizia, incompatibile con ogni logica di dominio. È una provocazione ancora attuale: ricordare che l’amore, e non la forza, è la sostanza ultima del reale.
Buon Natale a tutti.



