di Fabrizio Pulvirenti

In questi ultimi giorni ho pubblicato alcune riflessioni con le quali ho cercato di spiegare le ragioni della mia posizione contraria al taglio dei parlamentari sul quale saremo chiamati a esprimerci il 20 e 21 settembre prossimi.
Pressoché tutte le interazioni con chi è di parere opposto hanno gli stessi leitmotiv, ovvero “sono troppi” e “dobbiamo tagliare per risparmiare”; qualcuno si è anche spinto a sostenere che già Renzi nel 2016 ha proposto il taglio dei parlamentari.
Mi permetto di ricordare, prima di tutto a me stesso, una piccola differenza tra i due quesiti referendari.
Il referendum del 2016, nella sostanza, ha chiesto agli italiani il loro parere su un ammodernamento complessivo della macchina legislativa: passaggio dal bicameralismo paritario al monocameralismo, trasformazione del Senato in organo consultivo regionale, abolizione del CNEL, controriforma del titolo quinto della costituzione con sottrazione di poteri alle regioni (soprattutto in tema sanitario) , allineamento degli emolumenti dei consiglieri regionali a quelli del sindaco del capoluogo di regione, ecc.
Ciò che ci viene chiesto adesso è: “volete ridurre il numero dei parlamentari lasciando inalterate il resto delle funzioni delle due Camere?”
La domanda che ogni persona di buon senso dovrebbe porsi è “a quale scopo?” e, ancora, “che vantaggio avrà il cittadino da questo taglio?”; oppure “l’iter legislativo sarà più veloce?”, o anche “la stabilità del governo migliorerà?” La risposta a tutti questi interrogativi è sempre e invariabilmente “NO”.
Allora la stessa persona, sempre di buon senso, dovrebbe fermarsi un momento a riflettere e chiedersi “ma a quanto ammonta il risparmio complessivo derivante da questo taglio?” È stato calcolato che tale risparmio sarà di 57.000.000 di euro per anno ovvero, facendo le operazioni del caso, dividendo cioè questa cifra per il numero di cittadini italiani (che sono circa 60 milioni) deriva un risparmio procapite di ben 95 centesimi di euro per ogni anno. Che è una cifra irrisoria nel bilancio tanto di uno stato quanto di un singolo individuo.
Superando il buon senso (che diamo scontato per tutti) la persona che ha, invece, una certa sensibilità ai problemi sociali e politici potrebbe chiedersi (forse con un po’ di malizia) “ma, atteso che nulla cambierebbe in termini di semplificazione legislativa, atteso che il risparmio sarebbe irrisorio tanto per le casse dello Stato quanto per il singolo cittadino, perché si è sentita l’esigenza di porre la nascita stessa di questo secondo governo Conte sotto la condizione di accettare tale taglio?”
Qui le rispose sono meno scontate, non sono ufficiali e, pertanto, tutte da verificare.
Una prima ipotesi potrebbe essere la necessità per il movimento 5 stelle di raccontare ai propri elettori che ha mantenuto la promessa fatta di “aprire il parlamento come una scatoletta di tonno” e riuscire a imporre la propria visione. Sarebbe una risposta possibile, ma non plausibile.
Maliziosamente io credo che dietro tale operazione iniziale si nasconda, invece, un progetto ben più rischioso per la vita democratica del Paese. Ovvero, atteso che i 600 fanno le stesse cose dei 1000, domani lo stesso potranno farlo in 300, poi in 150, poi in 30 o 40 fino a quando la possibilità di essere adeguatamente rappresentati sarà interamente devoluta a favore di algoritmi digitali sotto il controllo di oligarchi informatici.
Sembra fantapolitica, vero? Eppure chi volesse leggere “L’Esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 stelle” di Jacoboni (giornalista particolarmente odiato dal Movimento) troverebbe concetti molto simili già nei progetti di Casaleggio senior.
Ora, siccome – come disse una persona illuminata – “a pensare male si fa peccato, ma quasi sempre si indovina”, il buon senso che ci ha consentito di porci quelle domande dovrebbe guidarci nel rigettare questo strampalato progetto di trasformazione della nostra Italia nella prima Repubblica Digitale a responsabilità limitata.
Ed è ciò che, da persona di buon senso, mi auguro.