I genitori non si scelgono.
Uno nasce e li trova così come sono, siano essi stimati oppure scomodi, siano presenti ed amorevoli oppure rigidi e severi o ancora talmente imponenti e famosi da proiettare una grande ombra sui loro figli fino ad offuscarli.
Sarà il destino, ammettendo che esista, o ancor meglio la sorte, quella condizione imperscrutabile indipendente dalla volontà di chi la subisce e che tocca a ciascuno senza un perché da sondare.
Così la maestosa ombra di Luigi, anche se dotata di intenzionalità protettrice, ricadde su Lulù che soffriva dell’oscurità e della penombra fino a volersene a tutti i costi liberare per non perire.
Lulù!
Che nome per un bambino, anzi un nome che di primo acchito pareva proprio da femmina!
Si trattava invece di un tenero vezzeggiativo di cui la madre si serviva per chiamare il piccolo Calogero, che portava il nome del nonno paterno seguito da Fausto.
Omaggio a Goethe ed alla cultura tedesca, così sentenziò il padre rivelandolo all’anagrafe dopo la nascita del piccolo tanto che, con la stessa risolutezza con cui pronunciò la frase, finì per fare prevalere il secondo nome sul primo.
D’altra parte la famiglia risiedeva nella Roma Capitale dei primi del Novecento ed era segno di buongusto chiamare il bambino, che intanto cresceva, Fausto anziché Lulù. Le uniche labbra che continuavano a pronunciare quel nomignolo erano quelle della sua triste madre ed era quella l’unica occasione in cui gli occhi di lei, il più delle volte inumiditi di lacrime o persi nel vuoto, si riempivano della luce che aveva lasciato a Porto Empedocle.
La stessa che Fausto trasferì nelle sue tele insieme al ricordo dei colori caldi e brucianti della campagna intorno alla sua casa di villeggiatura siciliana, dove anche suo padre in estate si dedicava alla pittura per diletto.
Fausto nella sua fragilità di giovane ragazzo aveva due solide certezze che ne illuminavano il cammino, una era la dedizione alla pittura e la convinzione che non avrebbe mai ritratto suo padre, l’altra di non dedicarsi alla letteratura in quanto affare del fratello, ed in famiglia già due letterati bastavano e avanzavano.
Poi c’erano le ombre che inevitabilmente lo condizionavano.
Le ombre della depressione della madre la cui mente era popolata dai fantasmi e le ombre di un padre famoso ma anche pratico che spinse il figlio, del cui talento inizialmente dubitò, all’arte della scultura perché più idonea a realizzare facili guadagni. Per lo meno fino a quando non scoprì che per i fragili polmoni di Fausto le polveri di creta e di gesso potevano rivelarsi letali.
Così con accondiscendenza e con quell’ombra che sapeva anche proteggere, Luigi sovvenzionò per il figlio delle valide lezioni private di pittura, un po’ per amore e un po’ per dar sfogo alla propria delusione a causa del ragazzo che non aveva finito il liceo.
Un padre drammaturgo ed un figlio non diplomato, un paradosso familiare ed un ennesimo motivo di contrasto tra i due.
Era difficile per Fausto sostenere la presenza di un padre ingombrante che per giunta riscuoteva successo con le donne, triste avere una madre che si consumava di dolore in compagnia dei suoi fantasmi tanto da essere ricoverata in una casa di salute.
Che nome per un manicomio! Certe volte basta un nome per edulcorare la realtà o per lasciarla filtrare in altri modi e trasformare la malattia in salute.
Era complicato per Fausto portare un cognome impegnativo ma che comunque si rivelava un biglietto da visita, era imbarazzante essere scelti per realizzare una xilografia per la copertina delle novelle del padre appena pubblicate, seppure nei fatti un’ottima occasione per presentarsi al pubblico.
Fausto era dunque l’uomo del vivere a metà, come un bambino su un’altalena ondeggiava tra amore e odio, ammirazione e biasimo. Se da una parte desiderava emergere, dall’altra voleva nascondersi e scappare e finiva quasi sempre per fuggire andando alla ricerca di luoghi di pace, come quella volta che scelse l’Alta Valle dell’Aniene per rifugiarsi nel paese dei pittori e delle modelle, subendo in quei luoghi il fascino di Pompilia, la sua modella.
Non bella ma genuina, Pompilia sapeva di casa e famiglia, quella che Fausto non aveva più specie da quando il padre si dannava l’anima per la bella attrice Marta, rossa di capelli e seduttrice, che per età poteva essere sua sorella, mentre la madre era ormai nient’altro che un’alienata rinchiusa.
Lui però aveva Pompilia e questo gli bastava, aveva la sua arte e la sua rappresentazione delle Bagnanti da presentare al grande pubblico per assaporare un po’ di fama e poi continuare a scappare in quel di Parigi per dare aria nuova ai suoi polmoni malandati ed alla sua pittura, per scappare dalle ombre e dare nuova luce al suo cognome.
Ed oltre alla luce ebbe pure una famiglia, un matrimonio con Pompilia ed un figlio che chiamò Pierluigi, non proprio come il padre ma quasi come il padre mentre, dentro quella sua constante ed incessante contraddittorietà, non abbandonò del tutto le sue ombre.
E quasi come un ossimoro della realtà nascose la sua vita e le sue cose di quegli anni proprio per tenerle alla luce e lontane dall’ombra di Luigi. Scrittore che brillava per fama e per successo pubblico, per ben due anni, nel buio della sua vita privata, non seppe di essere diventato nonno, per lo meno fin a quando Fausto non tornò a Roma sentendosi inesorabilmente figlio e l’ultimo lembo di una precedente famiglia non più famiglia.
E dentro quel rapporto tormentato, nel cuore di quella dualità della realtà così come sapeva interpretarla suo padre con la scrittura, Fausto cominciò a parlare con Luigi a modo suo ed anche con sé stesso.
Lo fece sperimentando con i colori il fascino della carne e la sua paura, la serenità borghese e i traumi interiori fino a diventare maestro del realismo magico e principe del grigio, maestro di un’arte sospesa tra la ragione ed il vagheggiamento della natura.
Asciugò i corpi delle sue rappresentazioni pittoriche, fin quasi a seccarli sotto il sole cocente memoria di Sicilia e fino a coglierne l’anima ma senza mai scostarsi dal reale.
Una realtà resa con quel suo tonalismo concepito tra i pittori della Scuola Romana e poi con quelle nature morte cariche di oggetti misteriosi, perchè in fondo tutto è mistero e la verità non è una sola ma è negli occhi di ciascuno che osserva o nella mente di uno, nessuno e centomila.
E c’erano ancora le ombre, sempre ferme e sospese, proiettate da un genitore che invecchiava ma che aveva ottenuto il massimo riconoscimento che si possa ottenere in vita da un letterato, non molto lontano dalla morte e prossimo ad essere consacrato all’eterno dalla fama.
C’era poi il sogno di Fausto di voler rendere immortali le figure dei suoi quadri come i personaggi delle commedie di Luigi e di lasciare nel tempo immutabile quanto avevano immaginato insieme.
Ché in fondo era suo padre, inarrivabile per il pubblico, genitore per lui ed i fratelli perchè i sogni di quel figlio pittore erano a volte gli stessi del padre commediografo.
Tanto quanto gli incubi.
Ne avevano parlato, quando potevano, quando non si trinceravano dietro i silenzi, quando si confrontavano nell’arte e per l’arte.
Forse fu per questo motivo che dopo una meditazione in solitaria, nella penombra del suo studio, Fausto decise di ritrarre suo padre. Un’unica volta.
Contraddicendo quanto si era ripromesso da ragazzo e ricordandosi della sua lontana vita da bambino nella campagna di Girgenti, di quando ancora c’era la luce e di quando c’era ancora una famiglia, Fausto decise di dedicare al padre una sola tela.
Dandosi un’unica occasione di conciliazione, o forse dandola a Luigi.
Così lo ritrasse, ondeggiando tra le sue contraddizioni di amore e odio, dentro l’incontro e scontro di due generazioni, ma rimanendo fedele a sé stesso. E pur rappresentando il padre realisticamente lo pose in una dimensione paradossale, dentro una sorta di scomoda realtà difficilmente raggiungibile, dentro un tentativo di ricomposizione senza una completa pacificazione.
Una metafora del loro rapporto tra luci ed ombre, tra le mille verità della realtà.
Ché, tutto sommato, questa è per tutti la vita, anche per i grandi.
Anzi, così è se vi pare…

Irene Varveri Nicoletti

 
NB: storia liberamente ispirata alla vita del pittore Fausto Pirandello