di Angela Di Fazio
Della vicenda umana prima che giudiziaria di Martina Rossi non riusciremo più a dimenticare alcune poche, ma fondamentali cose.

La prima di queste è che non esiste giustizia giusta (quella giustizia rivelatasi ancora una volta pachidermica) e congruente per la morte insensata di una ragazza di vent’anni, Ci sono voluti dieci lunghissimi anni ai giudici italiani per stabilire che Martina Rossi non morì per una caduta accidentale, ma nel tentativo di sfuggire a uno stupro ad opera di due coetanei, Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi. Quegli stessi ragazzi che come è loro diritto e come prevede la legge hanno chiesto di essere affidati ai servizi sociali, e che spero abbiano modo e tempo di ravvedere la loro condotta, di assumersi la responsabilità di ciò che hanno fatto e di riflettere seriamente sui loro atteggiamenti.
La seconda cosa che non scorderemo è l’immane bellezza e dignità dei genitori di Martina, che nel dolore più ingiusto che un padre e una madre possano provare, ossia la privazione della loro unica figlia per mano di due giovani comportatisi da balordi in preda ai pruriti giovanili e con scarsa padronanza dei freni inibitori non hanno mai perso la compostezza ed il garbo che appartiene alle persone perBene (la b di bene è maiuscola, come loro). Disperati, ma speranzosi in una sentenza che si è rivelata ridicola ai limiti dell’imbarazzo.
La terza e non ultima cosa che io personalmente non scorderò è la frase del padre di Martina: “Nessuno deve pensare di poter far del male ad una donna e passarla liscia”. Quanta saggezza in quelle parole, a cui aggiungo: nessuno deve poter pensare di poter fare quello che vuole ad una ragazza sol perché è allegra, socievole e si trova in vacanza. Nessuno e sottolineo ancora nessuno, deve pensare che una donna possa cercarsela, perché nessuno cerca di essere annientato, violato e calpestato fino a morire. Nessuna donna e neanche nessun uomo.
Ecco perché Martina sono io. Anzi, noi.