Alessandro Bozzo è un giornalista calabrese alla soglia dei 40 anni. Un bivio della vita al quale arriva con il carico di una serie di minacce da parte della ‘ndrangheta, un lavoro sempre più in bilico e un matrimonio che sta per fallire. Un cronista di provincia, coraggioso e mai asservito ai poteri forti, che all’improvviso si rende conto come tutto quello in cui aveva creduto e per il quale aveva sacrificato la sua esistenza stia per crollare.

“Quattro centesimi a riga”, il romanzo scritto da Lucio Luca per Zolfo Editore (pagg. 304, euro 18) in libreria e su tutte le principali piattaforme di vendita online dal 10 giugno, racconta il contesto nel quale vive gran parte del giornalismo italiano, soprattutto al Sud e nelle periferie: tra precarietà, sfruttamento, salari al di sotto della decenza, pressioni psicologiche, mobbing, editori senza scrupoli e quotidiane intimidazioni.

La vicenda di Alessandro, ripercorsa attraverso un diario-testamento, diventa così una storia collettiva sullo stato dell’informazione nel nostro Paese. Dove tre giornalisti su quattro non hanno un contratto di lavoro e migliaia e migliaia di free lance non riescono nemmeno a fatturare cinquemila euro (lordi) all’anno.

Nel decennale della morte di Bozzo, Lucio Luca ripercorre le tappe di un countdown che porterà il giornalista calabrese a farla finita. “Quattro centesimi a riga”, che amplia e completa un libro già pubblicato da Laurana Editore quattro anni addietro (“L’altro giorno ho fatto quarant’anni, premio articolo 21 e premio Mario e Giuseppe Francese) è un libro drammatico, ma soprattutto un inno alla libertà di stampa.

La prefazione è firmata dal giornalista Attilio Bolzoni: “La sua anima, quella volevano. Non un articolo, non la sua fatica, il suo sudore. Volevano prenderselo tutto. Lui. Lui e i suoi quarant’anni. Lentamente, giorno dopo giorno, umiliazione dopo umiliazione, dolore dopo dolore. Questo libro – scrive Bolzoni – è una testimonianza preziosa. Perché è dedicato ad Alessandro ma anche ai molti altri Alessandro che sono il giornalismo caldo e tormentato del fianco sud del nostro Paese, perché è vero, è impastato di slanci e di sofferenze, perché è l’essenza del nostro mestiere. Dentro c’è la vita e c’è la sconfitta della vita, c’è la morte, c’è la paura di non farcela, c’è la dignità, c’è la vergogna”.

Il romanzo si chiude con un’appendice sullo stato del giornalismo a dieci anni dalla scomparsa di Bozzo e da una riflessione dello scrittore Roberto Saviano: “C’era un ragazzo che in Calabria decise di fare il giornalista. Lo scelse con lo stesso slancio di un missionario, di un suonatore d’organo, di uno studente di sanscrito… Il ragazzo ha talento. Lo fermano, lo vessano, lo sottopagano, lo isolano ma lui resiste. Sa che ciò che fa è più grande della miseria che subisce. Si aspettava tutto questo ma poi qualcosa si rompe. E tutto lo schifo che lo assediava e il dolore che montava da dentro le fibre lo inghiotte. Per sempre. Questo libro è la storia della sua battaglia. La storia di Alessandro Bozzo, giornalista di Calabria”.

Dal romanzo è tratto il monologo “Volevo solo fare il giornalista” che sarà portato in scena in tutta Italia dall’attore Salvo Piparo con le musiche di Michele Piccione.