Ad una settimana dal voto, intervistiamo il Presidente di Mente Pubblica Think Tank ETS Nino Ginardi, componente del Consiglio Nazionale Giovani presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, già vice sindaco di Leonforte e assessore di Nissoria ed ex membro del board Anci Giovani Sicilia.

Dottor Ginardi, può introdurci ai sistemi elettorali che regolano le imminenti elezioni del 25 settembre?

Innanzitutto occorre rappresentare che il prossimo 25 settembre avrà luogo il cosiddetto Election Day, un’unica tornata elettorale per il rinnovo della Camera dei Deputati, del Senato della Repubblica, nonché per l’elezione diretta del Presidente della Regione Siciliana e dei componenti dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Alle urne ciascun elettore riceverà tre schede di colore diverso: una verde per le elezioni regionali; una rosa per la Camera dei Deputati ed una gialla per il Senato della Repubblica.

A questo punto credo sia opportuno analizzare separatamente i sistemi elettorali per le elezioni politiche e per le elezioni regionali, per non creare confusione.

Da dove partiamo?

Direi di partire dalle elezioni politiche, sulle quali ha immediata incidenza la legge costituzionale che ha sancito la riduzione del numero dei parlamentari.

Prima di parlare del meccanismo elettorale, vuole dirci il suo punto di vista sul taglio dei parlamentari?

A seguito della legge costituzionale n. 1 del 2020, confermata dal referendum, il corpo elettorale è chiamato ad eleggere 400 Deputati e 200 Senatori. La riforma degli articoli 56 e 57 della Costituzione ha comportato la riduzione di 230 seggi alla Camera e di 115 al Senato, pari a circa 1/3 della composizione del Parlamento insediatosi nel 2018.

La modifica della composizione dei due rami del Parlamento ha reso necessaria una ridefinizione, in senso estensivo, delle circoscrizioni e dei collegi elettorali, disciplinati oggi dal d.lgs. n. 177 del 2020, attuativo della delega al Governo contenuta nell’art. 3 della legge n. 51 del 2019.

In parole semplici, un numero minore di collegi elettorali che abbracciano aree territoriali più grandi ma eleggono un numero inferiore di deputati e senatori.

La riduzione voluta, ricordo, dal M5S durante il Governo Conte II ma votata dalla stragrande maggioranza delle forze politiche per timore di risultare impopolari, per questo a mio avviso corresponsabili, si rivelerà un errore che sortirà pesanti ed immediate ripercussioni sulla rappresentanza delle comunità più piccole e dei territori a minore densità demografica, come la Provincia di Enna.

I risultati del 26 settembre daranno contezza all’elettore di come i parlamentari eletti saranno distanti dalle realtà cittadine minori e dall’entroterra, considerati ingiustamente poco rilevanti sotto il profilo dell’incidenza elettorale.

L’idea di attribuire i seggi esclusivamente sulla base di un concetto di rappresentanza popolare, in relazione, cioè, soltanto ad un fattore demografico, senza alcun coefficiente di ponderazione legato all’estensione dei territori in cui una parte della popolazione si trova comunque stanziata, condiziona le forze politiche nella scelta dei candidati.

Per questo sono state privilegiate candidature espressione di città medio – grandi o, comunque, di territori omogenei di area vasta, dove si registra una maggiore densità demografica.

Restringendo il focus al contesto territoriale/abitativo delle città medio-grandi, verso le quali spostano e si concentrano sempre più capitali e servizi, e con essi ovviamente le opportunità di lavoro e di miglior vita, l’effetto correlato è il costante spopolamento dell’entroterra, trend a cui non riesce a mettersi freno. E non mi riferisco soltanto alla Sicilia e, naturalmente, alle provincie di Enna e Caltanissetta ma anche, ad esempio, alla Basilicata, alla Calabria, al Molise. Seguono depressione economica e un sempre più marcato disinteresse politico-istituzionale che sono i fattori di cui si nutre la criminalità organizzata per controllare il territorio.

Se in un territorio esteso risiede un numero di abitanti considerevole ma comunque rapportabile a quello stanziato in uno o due quartieri di una grande città, l’esigenza di catturare voti conduce i partiti a giustificare strategie elettorali che determinano l’effetto di una successiva, colpevole, assenza. Dunque, non c’è da stupirsi del distacco dei cittadini dalla politica né della penetrazione della criminalità, che si nutre di povertà e di disagio sociale e della mancanza di monitoraggio ed attenzione da parte di chi sarebbe deputato a tali compiti.

Un esempio pratico: nel solo quartiere Librino di Catania vivono circa 35-40 mila persona, cioè circa ¼ degli abitanti dell’intera provincia di Enna che si estende su 2.574 km quadrati. Privilegiare la scelta di un candidato prossimo a quel quartiere o comunque in grado di intercettare i voti di quella parte di popolazione catanese sortisce effetti indubbiamente positivi, sotto il profilo elettorale, per il partito che propone una candidatura espressione dell’hinterland, in quanto le probabilità di aumentare la cifra elettorale accrescono sensibilmente. Tuttavia, la mancata previsione di un coefficiente relativo alla densità abitativa di un territorio estraneo allo stesso ambito provinciale, che però si trova ad essere accorpato al medesimo collegio elettorale, finisce per penalizzare quei cittadini che vivono lontano dall’urbe, in zone montane, collinari o comunque distanti dai maggiori centri.

A questo quadro si aggiunge, a mio avviso, un elemento da non sottovalutare. Mi riferisco all’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti che rende complicato l’esercizio delle attività politiche in generale.

Come ben diceva Craxi, la politica ha i suoi costi necessari ed insopprimibili, affinché si mantenga attiva ed energica la democrazia. Se tagli il numero dei parlamentari per attuare una manovra sostanzialmente populista che riduce di un non nulla i costi a carico della finanza pubblica e a questo vi aggiungi il mancato sostegno economico pubblico ai partiti ed ai movimento politici, si creano le condizioni per la nascita di un’oligarchia elitaria, finanziariamente sostenuta dai centri di potere e dalle lobbies che, di contro, sono favorite nella riduzione dei loro costi di intervento, legale, per catturarne l’attenzione dei policy maker su temi di interesse particolare.

Da questo passa la “certificazione” che il potere economico governa quello politico, quando dovrebbe essere esattamente il contrario, essendo entrambi, insieme al potere sociale, attributi all’autorità statale. Non sto dicendo nulla di nuovo; faccio solo riferimento alla filosofia politica da cui sono scaturite le moderne forme di stato e di governo.

Un numero più alto di parlamentari contiene gli effetti distorsivi di questa nostra forma di governo, notevolmente dipendente dal tipo di legge elettorale in vigore, riduce la possibilità di interventi lobbistici, aiutando il cittadino ad avere rappresentanti più prossimi al territorio.

Il distacco dei cittadini dalla politica e l’astensionismo dipendono anche da questo. Per non parlare del fenomeno, disdicevole, dei cosiddetti “paracadutati”.

Chi sarebbero i “paracadutati”?

La legge elettorale non consente agli elettori di esprimere le preferenze verso i candidati che, pertanto, vengono individuati dai partiti di riferimento, sia per i collegi uninominali, sia nell’ordine di posizionamento dei collegi plurinominali di Camera e Senato.

Potendo l’elettore votare soltanto per un partito piuttosto che per un altro, crede di seguire programmi e ideologie, senza rendersi conto di contribuire all’elezione di candidati che nella stragrande maggioranza dei casi non ha mai messo piede nel suo territorio, se non addirittura in nessuno di quelli dell’intero collegio.

Essendo un sistema che alla Camera, per 5/8 del complessivo numero dei parlamentari da eleggere, prevede l’attribuzione dei seggi sulla base del proporzionale, in percentuale cioè ai voti complessivi conseguiti da una lista, gli effettivi eletti saranno al massimo i primi due candidati indicati nell’ordine dai partiti. E questo accade in quasi tutti i collegi plurinominali. Quindi, la possibilità di eleggere deputati non rappresentativi del territorio è altissima. Per questo vengono appellati “paracadutati”, essendo candidati in collegi definiti “blindati”, cioè con sicura attribuzione del seggio.

Vi sono poi delle combinazioni legate alla possibilità che una stessa persona possa essere candidata in uno solo dei 147 collegi uninominali previsti ma, contestualmente, anche fino in cinque collegi plurinominali, nonché combinazioni legate all’attribuzione dei seggi sulla base dei più alti resti.

Ad ogni modo, piuttosto che confondere l’elettore con eccessivi tecnicismi, forse e meglio fare degli esempi pratici: nel collegio uninominale di Gela è stata candidata dal centro-destra Michela Vittoria Brambilla (Forza Italia) di Lecco e con ambito di operatività professionale in Lombardia. Il centro-sinistra nel collegio uninominale di Palermo-Resuttana risponde con Bobo Craxi, un politico di chiare origini siciliane, detto ovviamente con ironia. Il M5S nel collegio plurinominale Sicilia 1-P01 candida in prima posizione Giuseppe Conte che in Sicilia, forse, viene in vacanza. E potrei continuare a lungo, perché la lista dei “paracadutati” è corposa. Ormai è un fenomeno di malcostume.

Lei è candidato alla Camera dei Deputati in Emilia-Romagna con la lista Sud chiama Nord di Cateno De Luca, nel collegio plurinominale P03. È un “paracadutato” in settentrione?

Certo che si. Se ci si ferma a ciò che ho argomentato finora, non posso che definirmi tale anch’io.

Mi permetto però di rimarcare una differenza sostanziale. Ad agosto, durante la fase di stesura delle liste, Cateno De Luca mi ha chiesto di individuare per il collegio uninominale di Ravenna un amministratore locale di grande spessore, di competenza, di professionalità e di consolidata capacità amministrativa. Così, non ho esitato a suggerire il nominativo della dottoressa Roberta Bravi, vice presidente di Mente Pubblica e capogruppo del movimento “La buona politica” al consiglio comunale di Lugo, quindi, persona indiscutibilmente rappresentativa del territorio romagnolo. La stessa Bravi è stata candidata, altresì, in prima posizione nel collegio plurinominale P03 che racchiude i territori del ferrarese, ravvennate e riminese, nel quale per l’appunto mi trovo candidato in seconda posizione.

Le probabilità che in quel collegio plurinominale vengano attribuiti due seggi alla mia lista sono pressoché nulle, quindi, essendo io in seconda posizione, la mia non è altro che una candidatura di servizio, di testimonianza e di piena adesione al progetto Sud chiama Nord.

Per una volta, proviamo a “insidiare” il settentrione, un po’ con spirito meridionalista, in verità con desiderio di creare un ponte con il Nord e di definire alleanze strategiche territoriali in vista delle prossime elezioni politiche del 2027 dove, senza doverci dannare a ferragosto nella raccolta delle firme per il deposito delle liste, certamente avremo la possibilità di superare la soglia di sbarramento del 3%, sempreché non succeda già il prossimo 25 settembre. Significherebbe, infatti, la probabile elezione di 8-10 deputati fra i quali, non è escluso, proprio la dott.ssa Bravi.

Secondo lei qual è la ricetta per riavvicinare la gente al voto?

Per combattere distacco, disinteresse e astensionismo c’è bisogno di più politica e di più politici, l’esatto contrario di quello che sta avvenendo.

I cittadini, quasi con nonchalanche, non si recano alle urne, svalutando il valore del diritto costituzionale al voto, frutto di una guerra civile fra italiani. Fra gli under 30 il tasso di astensionismo è elevatissimo. In compenso si canta “Bella ciao” in versione remix perché fa tendenza e si fa un caso mediatico se Laura Pausini si rifiuta di cantarla ai suoi concerti.

Evidentemente la scuola non è più in grado di istruire sugli eventi della storia contemporanea e formare una coscienza civile sui veri fatti sociali che dovrebbero essere ancora determinanti per questa società.

Occorre l’insegnamento dell’educazione civica fin dalle elementari e programmi di diritto ed economia nelle scuole di ogni ordine e grado.

Occorre il sostegno finanziario alle attività politiche, il ritorno alle segreterie di partito, la movimentazione dei cittadini negli enti locali e nei corpi intermedi che si interessano della cosa pubblica, nella consapevolezza che da essa e per essa dipartono le condizioni per la realizzazione personale, professionale, economica e patrimoniale.

Occorre una riforma alle legge elettorale che introduca le preferenze e consenta all’elettore di dare una chiara indicazione verso chi sente più rappresentativo nel proprio territorio, oltre per i programmi che si riducono, purtroppo, a meri slogan.

Oggi, purtroppo, è moda protestare su tutto, con l’aggravante che la protesta non si spinge più verso la creazione di una proposta, ma finisce per rifuggirla e dileggiarla al grido “i politici sono tutti uguali”.

Cateno De Luca, per ritornare a quanto detto prima, ha fatto della protesta una proposta di cambiamento politico, strutturato e organizzato non solo in Sicilia ma in tutta Italia, scegliendo persone che, a differenza dei 5 stelle cinque anni fa, hanno già avuto esperienze di amministrazione locale.

Ha parlato di collegi uninominali e plurinominali. Vuole illustrarci il meccanismo elettorale per il rinnovo del Parlamento?

Il territorio nazionale è ripartito in circoscrizioni, collegi uninominali e plurinominali.

L’elezione del Parlamento è disciplinata dal cosiddetto “Rosatellum” che prevede un sistema elettorale di tipo misto, con attribuzione dei seggi in parte con metodo maggioritario, attraverso i collegi uninominali, in parte con metodo proporzionale, mediante i collegi plurinominali.

La ripartizione dei seggi per la Camera avviene su base nazionale alla lista che supera la soglia di sbarramento del 3%, pari a circa 1 milione di voti secondo il trend delle ultime elezioni. Se la lista va sotto questa soglia ma supera l’1% ed è collegata ad una coalizione, in tal caso i voti conseguiti vengono attribuiti alla coalizione e contribuiscono all’assegnazione dei seggi, secondo il metodo proporzionale. Al di sotto dell’1% sono praticamente voti inutili. Per il Senato, invece, i seggi vengono attribuiti al superamento della soglia del 20% su base regionale.

Per l’elezione della Camera il territorio è diviso in 28 circoscrizioni, all’interno delle quali sono stati disegnati dall’ultimo intervento normativo (d.lgs. 177/2020) 147 collegi uninominali, pari ai 3/8 dei seggi complessivi da attribuire, e 49 collegi plurinominali. Per il Senato, invece, sono stati previsti 74 collegi uninominali e 26 collegi plurinominali, con un minimo di tre senatori attribuiti per ciascuna regione, due per il Molise ed uno per la Valle d’Aosta.

L’elettore dispone di un solo voto, da esprimere per la Camera sulla scheda rosa, per il Senato sulla scheda gialla. Ciascuna scheda riporta il nome del candidato nel collegio uninominale, il contrassegno di ciascuna lista o, nel caso di liste collegate in coalizione, i contrassegni di tali liste, con a fianco i nominativi dei candidati nel collegio plurinominale (da due a quattro), indicati secondo l’ordine di presentazione.

Per farla più semplice, l’elettore deve sapere che “collegio uninominale” vuol dire un solo seggio attribuito al candidato della lista o della coalizione di liste che ottiene il maggior numero di voti, con la precisazione doverosa, e ripetuta, che non è possibile esprimere alcun voto di preferenza.

In pratica, l’elettore appone il contrassegno sulla lista o sulla coalizione di liste che sostengono un determinato candidato e se la somma dei voti validi da questo conseguiti risulta maggiore, in tal caso risulterà eletto lo stesso candidato.

In realtà, pur non essendoci voto di preferenza, una sorta di effetto preferenza si determina comunque in minima parte perché l’elettore, in teoria, dovrebbe scegliere il partito o la coalizione che ha candidato la personalità più rappresentativa e politicamente credibile proveniente da uno dei comuni appartenenti al quel collegio elettorale. Ed è ovvio, per riallacciarci alle argomentazioni di prima, che si tratti di un candidato espressione di comuni più grandi o di comunità territoriali contigue ad alta densità demografica.

I collegi plurinominali, invece, racchiudono un insieme di seggi che vanno attribuiti su base proporzionale, in percentuale, cioè, alla cifra elettorale complessivamente conseguita dalla lista che si presenta alle elezioni. Quindi, maggiore è la somma dei voti validi ottenuti da un partito, più alto è il numero dei seggi attribuiti su base proporzionale.

È bene evidenziare, però, che non è possibile pre–configurare in quale collegio scatterà il seggio, soprattutto per quelle liste o partiti che oscillano fra il 3% ed il 6-7%, in relazione ad un criterio molto tecnico, e per la verità pure critico, che non è opportuno approfondire poiché rischierebbe soltanto di confondere l’elettore.

Qualche dettaglio in più per gli elettori della Sicilia che votano per la Camera ed il Senato?

Per l’elezione della Camera dei Deputati la regione Sicilia è suddivisa in due circoscrizioni: “Sicilia-1” che comprende il territorio occidentale delle provincie di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta, ad eccezione del Comune di Niscemi; e “Sicilia-2” che racchiude il territorio orientale delle province di Messina, Catania, Enna, Siracusa, Ragusa ed il Comune di Niscemi.

Nella circoscrizione “Sicilia-1” si assegnano 15 seggi, di cui 6 in collegi uninominali (maggioritari) e 9 assegnati in collegi plurinominali (con metodo proporzionale); nella circoscrizione “Sicilia-2”, invece, si eleggono 17 deputati, di cui seggi 6 nei collegi uninominali e 11 nei collegi plurinominali.

Per quanto riguarda il Senato, invece, alla Sicilia sono assegnati 16 seggi, di cui 6 nei collegi uninominali e 10 nei collegi plurinominali; di questi ultimi, attribuiti con metodo proporzionale, 5 seggi appartengono al collegio plurinominale in cui sono chiamati a votare gli elettori dei territori di Agrigento, Caltanissetta, Palermo, Trapani; gli altri 5, invece, appartengono al collegio in cui votano gli elettori delle province di Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa.

La Provincia di Enna, quindi, è accorpata alla circoscrizione Sicilia-2. Cosa può aggiungere?

Per quanto riguarda la Camera dei Deputati, il territorio ennese è ricompreso nella circoscrizione della Sicilia orientale e appartiene al collegio uninominale U05-Barcellona Pozzo di Gotto, calibrato su una popolazione di 398.502 persone. Si tratta di un collegio interprovinciale che interessa anche la parte occidentale del territorio della provincia di Messina (60 dei 108 comuni messinesi) che va da Barcellona Pozzo di Gotto fino ai comuni confinanti con la città metropolitana di Palermo, ricomprendendo gran parte dell’area del Parco dei Nebrodi.

Nella stessa circoscrizione, poi, sono stati costituiti 3 collegi plurinominali per l’attribuzione dei restanti 11 seggi. Fra questi, “il collegio plurinominale Sicilia 2 – P01” assegna 3 seggi con metodo proporzionale, e ricomprende “l’uninominale U05-Barcellona Pozzo di Gotto” a cui ho fatto cenno prima e “l’uninominale U06 Messina” che, a sua volta, racchiude 48 comuni del messinese, compreso il capoluogo di provincia e le Isole Eolie, per un totale di 128 comuni interessati, di cui 108 del messinese e 20 dell’ennese.

Per quanto concerne il Senato, il “collegio uninominale Sicilia U06-Messina” coincide con il collegio plurinominale della Camera dei Deputati “Sicilia 2- P01”, calibrato su una popolazione di 823.275 abitanti; quindi per gli elettori della provincia di Enna non c’è nulla di diverso di cui prendere atto. Diversamente, devono sapere che il loro voto, insieme con quello degli elettori delle provincia di Messina, Catania, Siracusa e Ragusa, per una popolazione coinvolta secondo censimento di 2.609.466 persone, partecipa all’elezione di 5 senatori candidati nel “collegio plurinominale Sicilia –P02”.

Quale peso politico emerge per gli elettori ennesi dalla sua analisi tecnica?

Credo che gli elettori della provincia di Enna debbano riflettere su alcuni aspetti.

Il primo: la sproporzione, in termini di possibilità di ottenere rappresentanza, fra i 20 comuni dell’ennese ed i 60 del messinese che insieme partecipano all’attribuzione dell’unico seggio del collegio uninominale U05 Barcellona Pozzo di Gotto, assegnato al candidato che avrà conseguito un solo voto valido in più.

Una sproporzione che diventa ancora più palpabile rispetto alla concreta possibilità di determinare l’assegnazione dei seggi nel collegio plurinominale Sicilia 2-P01 considerando che, a fronte di una popolazione presa in considerazione dall’ultimo censimento di 823.725 persone, la provincia di Enna conta per circa 160 mila, ovvero circa 1/5 del totale.

Il secondo: la distanza fra i comuni più rappresentativi dell’area costiera del messinese, come Barcellona Pozzo di Gotto, comune di 40 mila abitanti, Milazzo, comune di 30 mila abitanti, Capo d’Orlando e Patti, comuni di 13 mila abitanti, e quelli della Provincia di Enna, come Enna e Piazza Armerina, rispettivamente di 25 mila e 20 mila abitanti, Nicosia, Barrafranca e Leonforte, di circa 12 mila abitanti. Il tutto amplificato dalle caratteristiche orografiche e dalla mancanza di infrastrutture e che complicano le possibilità di visita delle comunità ed i contatti periodici con i rappresentati locali per qualunque politico venga eletto.

Per capire meglio, può rappresentare cos’è cambiato per gli elettori della Provincia di Enna rispetto alle ultime elezioni del 2018?

La precedente ripartizione del territorio, definita dal d.lgs. 189/2017, prevedeva all’interno della circoscrizione Sicilia-2, per la Camera dei Deputati, 10 collegi uninominali e 3 collegi plurinominali.

Il collegio plurinominale Sicilia 2-01 era costituito dal collegio uninominale n. 1-Messina, comprendente il comune omonimo e altri 13 dell’hinterland messinese; dal collegio n. 2-Barcellona Pozzo di Gotto, composto da 80 comuni della provincia di Messina, tra i quali anche Milazzo, Taormina, Patti e Capo d’Orlando; e dal collegio n. 3 – Enna che racchiudeva, infine, i restanti comuni della provincia di Messina, fra cui Sant’Agata di Militello, Caronia e Santo Stefano di Camastra, e l’intera provincia di Enna.

Per farla breve, il peso specifico degli elettori dei 20 comuni dell’ennese si è ridotto drasticamente a vantaggio di quelli del messinese.

Mentre l’attuale proporzione nel collegio uninominale U05 Barcellona Pozzo di Gotto è di 20:80, prima nell’ex collegio uninominale n. 3 – Enna era di 20:35, poiché racchiudeva per l’appunto i 20 comuni ennesi e 15 del messinese geograficamente situati sulla dorsale dei Nebrodi, non 60 come oggi.

La determinazione di collegi elettorali eccessivamente estesi finisce per privare della rappresentanza politica le comunità stanziate nelle aree più interne o, comunque, per renderla evanescente rispetto alla risoluzione dei problemi complessi che, di contro, necessiterebbero, di un monitoraggio costante del territorio.

Chi ha creduto che la riduzione del numero dei parlamentari fosse la panacea di tutti i mali dovrebbe ricredersi e fare ammenda, nella consapevolezza che, purtroppo, difficilmente si tornerà indietro.

Come comportarsi allora? Ci offra la sua analisi politica?

Innanzitutto, a mio avviso, occorre rimarcare la pericolosità di quella protesta che non si traduce in proposta o iniziativa politica ma in disinteresse e astensionismo.

Con un peso elettorale così risicato, ogni elettore della provincia di Enna che non si reca alle urne è colpevole di condannare il territorio, già ridotto alla marginalità, alla totale irrilevanza politica, come se non esistesse più sotto il profilo istituzionale. Una sorta di provincia dell’ex impero romano, governata dall’alto e senza alcuna possibilità di indirizzo, controllo o potere decisionale.

Poi, ritengo che gli elettori ennesi debbano assumere consapevolezza della novità costituita dall’asse Enna-Messina, nuova direttrice fuoriuscita dal binomio fra la riforma costituzionale 1/2020 ed il d.lgs. 177/2020, e comprendere l’importanza strategica di costruire una sinergia politica forte fra i due territori collegati dalla dorsale dei Nebrodi, per provare a riequilibrare il peso politico-elettorale, riconquistare potere contrattuale ed ambire ad ottenere effettiva rappresentanza e potere di indirizzo.

L’elettore ennese dovrebbe effettuare uno screening dei candidati nei collegi uninominali e plurinominali di Camera e Senato e premiare, con il proprio voto, quel candidato più vicino al territorio, bocciando sonoramente i paracadutati proposti da quasi tutti i partiti.

Credo che sia fondamentale sostenere quella proposta politica che risulti, rispetto al territorio, più organica, strutturata, credibile, vicina alla rappresentanza ideale del territorio provinciale e che ha più possibilità di potersi concretizzare.

 

Nessuno di questi candidati è rappresentativo del territorio ennese. Ogni elettore, perciò, farà le sue valutazioni e, naturalmente vincerà sempre la democrazia. Probabilmente perderà la rappresentanza che dovrebbe essere la sostanza della democrazia. E sicuramente ha già perso la Provincia di Enna, di fatto ridotta a mero serbatoio elettorale.

Il suo, per certi aspetti, sembra un assist per De Luca. Non crede?

In parte lo è, ma non per come si potrebbe pensare, ovvero come scelta meramente politica o partitica. Piuttosto, è il frutto dell’analisi che ho appena provato a condividere che tende a circoscrivere l’ideologia a vantaggio dell’utilità di una rappresentanza vicina e della necessità di avere un’organizzazione politica capillare e radicata, in grado di rispondere meglio alle istanze dei due territori, ennese e messinese, ormai legati a doppio filo.

Vedo nel progetto politico di Cateno De Luca un buon bilanciamento, considerando i postulati fondativi di affermazione dello Statuto siciliano, dell’autonomia amministrativa e finanziaria delle comunità locali, del meridionalismo, dell’indipendenza dagli schieramenti classici di centro-destra e di centro-sinistra, del riconoscimento della meritocrazia politica e dell’importanza del cursus honorem dei candidati.

Ci vedo molto di quel concetto di terzo includente che è alla base del manifesto di Mente Pubblica, un concetto di buona amministrazione territoriale, estremamente pragmatica, che va oltre le ideologie e i partiti, oltre il centrismo e oltre il mero moderatismo il quale, come diceva Bobbio, è solo una modalità in cui si esprime l’azione politica, non l’origine o il movente della stessa.

Credo che il progetto regionale e nazionale di Cateno De Luca, in questo momento, per forza di cose, sia l’unico che dimostri di tenere seriamente in considerazione il territorio ennese.

L’election day, non previsto, ha rafforzato questo ponte perché la crescita ed il mantenimento della sua leadership hanno bisogno costante del sostegno degli elettori ennesi e questo offre ai comuni della Provincia di Enna potere contrattuale. È un fattore incontestabile.

Per una dimostrazione concreta di questo assunto basta prendere in considerazione un dato. Per le elezioni regionali, nel collegio provinciale di Enna sono state presentante ben 9 liste a sostegno del candidato alla Presidenza della Regione Sicilia Cateno De Luca, uguali in numero a quelle che si presenteranno al giudizio degli elettori nel collegio provinciale di Messina. Sono le uniche due province dove ciò accade, considerando che in altre sei province sono presenti oltre alla lista principale De Luca Sindaco di Sicilia, la lista Sicilia Vera e la lista Orgoglio Siculo che, invece, non è stata presentata nella provincia di Palermo.

Oggi votare organicamente De Luca alle regionali, alla Camera ed al Senato è l’unica vera novità-opportunità politica offerta agli elettori ennesi, per realizzare un progetto di buona amministrazione territoriale che ha il suo punto nevralgico proprio nella centralissima provincia ennese, da tutti non considerata se non come mero bacino elettorale e territorio di spartizione dei sottogoverni.

E per questo che ha lasciato Forza Italia?

Per questo è non solo.

Come ho già avuto di spiegare nella nota stampa del 10 agosto scorso, non posso rimproverare nulla al mio ex partito rispetto a riconoscimenti di tipo personale. Mi riferisco ad incarichi politici non retribuiti ma fondamentali per chi aspira a mantenere possibilità di intervento nella società.

E rimango un convinto liberale, garantista, atlantista, cristiano ed europeista, seppur in quest’ultimo caso con note critiche.

Il problema emerso, tanto per le elezioni regionali che per le nazionali, riguarda la totale impossibilità di incidere anche in minima parte sulle strategie e sulle candidature che ledono gli interessi della provincia e del territorio a cui appartengo, al di là del fatto che ormai la mia attività politica si estende in ambito extraprovinciale ed extraregionale.

Purtroppo questa è diventata Forza Italia e, quindi, senza sbattere la porta, ho delicatamente ringraziato e sono andato via. Contestualmente, mi è stata data la possibilità direttamente da Cateno De Luca di incidere sulle candidature della Provincia di Trapani per le elezioni regionali, dove ho suggerito il nominativo del mio amico e collega di corso Anci Giuseppe Lipari, attuale consigliere comunale, nonché di intervenire sulle candidature per la Camera nelle circoscrizioni del Nord Italia, dove ho proposto diversi giovani amministratori conosciuti in Anci e dal curriculum notevole, accolti benevolmente e con grande entusiasmo in squadra.

Questo ha rafforzato la leadership della squadra ennese, tant’è che nel comunicato stampa di qualche settimana fa lo stesso Cateno De Luca ha dichiarato che Enna, in caso di sua vittoria alle elezioni regionali, avrà la sua rappresentanza nella Giunta Regionale.

Non mi pare che altre forze politiche abbiano dimostrato la stessa sensibilità. Anzi, esattamente l’opposto. E questo, credo, debba essere ulteriore motivo di riflessione per gli elettori ennesi ad una settimana dal voto, anche in considerazione di quello che viene chiamato “voto utile”.

Parliamo adesso di elezioni regionali. Ci illustra la forma di governo della Sicilia e perché è prevista la possibilità del voto disgiunto?

A seguito della riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, come nelle altre regioni d’Italia, la Regione Siciliana ha adeguato il proprio Statuto, introducendo l’elezione a suffragio universale e diretta del Presidente della Regione, contestualmente all’elezione dei componenti dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Volendo semplificare il quadro è sufficiente mettere davanti all’elettore, come termine di paragone, l’elezione diretta del Sindaco e dei consiglieri comunali. Il meccanismo, infatti, permette di scegliere il candidato alla Presidenza della Regione collegato alle liste che lo sostengono, oppure il candidato Presidente di un’altra lista o raggruppamento di liste.

Le elezioni regionali, in un certo senso, sono una rappresentazione estesa delle amministrative, con ovvi distinguo legati alle competenze legislative della Regione. A differenza delle elezioni politiche, però, all’elettore è permesso esprimere una preferenza per uno dei candidati alla carica di deputato della lista prescelta.

Per fare un esempio pratico, un elettore può votare per la lista del Pd, del M5S, di Forza Italia, di Fratelli d’Italia o una delle altre presenti sulla scheda, scrivere il nominativo del candidato di quella lista a cui ritiene di voler accordare la preferenza e, contestualmente, optare per il voto disgiunto a favore del candidato Presidente Cateno De Luca, sostenuto da altre liste contrapposte. Oppure, per una rappresentazione in par condicio, chi vota per una delle 9 liste di Cateno De Luca potrebbe non volerlo come Presidente e, quindi, esprimere il proprio voto disgiunto a favore di un altro candidato Presidente fra Gaetano Armao, Nuccio di Paola, Caterina Chinnici e Renato Schifani.

L’ordinamento siciliano è strutturato su una forma di governo definita “neoparlamentare” perché se per un verso non prevede il voto di fiducia dell’Assemblea Regionale Siciliana nei confronti del Presidente della Regione, essendo questi eletto direttamente a suffragio universale, e in questo sta la sostanziale differenza rispetto a quanto avviene a livello nazionale, dove il Parlamento è chiamato a votare e mantenere la fiducia al Governo per tutta la durata della legislatura, per altro verso è chiaro che l’indirizzo politico e di alta amministrazione del Governo regionale non possono fare a meno del sostegno della maggioranza dell’Assemblea, a cui è attribuita per esempio la competenza sul bilancio.

L’unica arma a disposizione del Presidente della Regione per non restare impantanato nell’ostracismo dell’Assemblea sta nella formula “simul stabunt, simul cadent” e, cioè, in caso di dimissioni del Presidente o sfiducia votata nei suoi confronti dalla maggioranza qualificata, l’Assemblea si scioglie ed ha termine la legislatura. Questo meccanismo, introdotto per favorire la stabilità, è uno strumento di pressione significativo a disposizione del Presidente, legittimato dalla sua elezione diretta da parte di tutto il corpo elettorale.

Cateno De Luca lo conosce molto bene, considerando che, in assenza di consiglieri comunali sostenitori della sua lista, da Sindaco di Messina si è dimesso per almeno due volte per non farsi imbrigliare dall’ostracismo dei consiglieri che avversavano la sua linea politica. Così facendo, posto che la norma gli consentiva di ritirare le dimissioni prima dello scoccare del ventesimo giorno dalla presentazione, è riuscito ad ottenere l’approvazione di importanti provvedimenti, per il timore dei consiglieri di decadere dalla carica.

E non è escluso che questa stessa modalità venga replicata se venisse eletto Presidente della Regione Siciliana. Stiamo parlando di un politico che conosce molto bene la burocrazie e le regole che la governano.

Quanti deputati regionali vengono eletti e con quale sistema elettorale?

Sono 70 i deputati regionali da eleggere all’Assemblea Regionale Siciliana, ridotti dagli originari 90 in virtù della modifica dell’art. 3 dello Statuto ad opera della legge costituzionale n. 2/2013.

Anche in questo caso un taglio dei parlamentari che penalizza la rappresentanza dei territori. Per esempio alla Provincia di Enna vengono attribuiti soltanto 2 seggi, 3 a Caltanissetta, 5 a Trapani.

Dei predetti 70 seggi, 62 sono da assegnare in ragione proporzionale nelle circoscrizioni elettorali coincidenti con i confini delle nove ex province regionali, mentre il massimo dei seggi attribuibili per agevolare la formazione di una stabile maggioranza è di 42, pari al 60%.

In pratica, tenuto conto che per alcune materie e determinati disegni di leggi, ai fini dell’approvazione è richiesta la maggioranza assoluta, che sarebbe di 35+1, il sistema ha previsto una sorta di premio al Presidente della Regione eletto che si trascina i candidati presenti nella sua lista regionale.

Gli elettori devono sapere, infatti, che ogni candidato alla Presidenza della Regione è il capolista di una lista regionale composta da 8 candidati, detta appunto “listino del Presidente”, determinata in ordine di posizionamento e con alternanza di genere. L’ulteriore peculiarità è che ognuno dei componenti, ad eccezione del candidato Presidente, è per legge candidato capolista in una delle liste provinciali.

In tal modo, la legge elettorale permette comunque al candidato Presidente non eletto, secondo più votato, di divenire deputato regionale.

Quindi, sono eletti secondo l’ordine di presentazione tanti candidati del “listino” più votato, fino a quando il numero di seggi così attribuiti, sommato al numero dei seggi conseguiti nei collegi dalle liste provinciali collegate, raggiunga il totale di quarantadue, oltre al Presidente della Regione eletto.

Sono escluse dall’assegnazione dei seggi le liste provinciali il cui gruppo, sommando i voti validi conseguiti nei collegi elettorali provinciali, abbia ottenuto nell’intera Regione una cifra elettorale inferiore al 5% del totale regionale dei voti validi espressi.

I seggi eventualmente rimanenti sono ripartiti, in proporzione alle rispettive cifre elettorali regionali, fra tutti i gruppi di liste non collegati alla lista regionale che ha conseguito il maggior numero di voti, ammessi all’assegnazione di seggi ed attribuiti nei collegi elettorali provinciali.

Potrebbe fornire qualche ulteriore chiarimento?

Ad ogni collegio provinciale spetta un numero di seggi proporzionati alla popolazione, a prescindere quindi dall’estensione del territorio, per essere chiari. Al collegio Di Enna, ad esempio, ne spettano 2.

L’elettore può esprimere un solo voto di preferenza verso il candidato o la candidata che vorrebbe venisse eletta all’interno della lista di riferimento.

Dopo lo spoglio, le operazioni prevedono prima che sia calcolata la cifra elettorale complessivamente riportata dal “listino del Presidente”, includendo tutti i voti validamente espressi per le liste provinciali collegate alla stessa, se non ci siano indicazioni di voto per altra lista regionale. Successivamente viene attestata la cifra elettorale conseguita da ciascuna lista provinciale in ogni collegio.

Questi adempimenti consentono di determinare la cifra regionale dei voti validi riportati da ciascun gruppo di liste provinciali e, quindi, la somma regionale dei voti validi di tutti i gruppi di liste, in modo da verificare quelle da escludere dal riparto dei seggi per mancato superamento della soglia di sbarramento.

Per determinare il quoziente elettorale circoscrizionale, il totale dei voti validi riportati dalle liste provinciali concorrenti nel collegio, al netto di quelli conseguiti dalle liste non ammesse all’assegnazione dei seggi, viene diviso per il numero dei seggi spettanti al collegio medesimo, trascurando la parte frazionaria del quoziente. Infine, si procede ad assegnare alla lista tanti seggi quante volte il quoziente elettorale circoscrizionale è contenuto nella cifra elettorale della lista.

Nell’ipotesi in cui rimangano seggi non attributi per insufficienza di quoziente, questi vengono assegnati alle liste che hanno conseguito i resti più alti nell’ambito del collegio.

Solo dopo che sia stata assegnato il seggio alla lista si procede a individuare il candidato che ha riportato il maggior numero di voti di preferenza.

Quindi la ripartizione dei seggi avviene per ogni collegio provinciale?

Esattamente.

Le liste che hanno conseguito maggiori voti concorrono all’assegnazione del seggio, a condizione che complessivamente tutte le liste provinciali collegate e presentate in almeno 5 province abbiano superato la soglia di sbarramento del 5%.

Perché, ancora una volta non si è data possibilità ai non residenti di non votare?

Questa è una domanda molto seria e che deve fare riflettere. Nell’era di spid e della carta di identità elettronica non è pensabile che uno studente o un lavoratore che vive fuori non per scelta ma per esigenza, sia costretto a spendere in viaggi e trasporti per rientrare nel luogo di residenza e votare. È una situazione del tutto inaccettabile a cui, mi auguro, la politica sappia porre rimedio nei prossimi 5 anni.

Nel nostro territorio i candidati avanzano pretese sulla sanità come se fosse una concessione e non un diritto costituzionale. La questione riguarda anche l’Ospedale Ferro-Branciforti-Capra di Leonforte. Vuole esprimere un pensiero.

La questione è molto intricata ed è difficile “illuminare”. Preferisco far parlare i medici in corsia che comprendono perché un protocollo medico non possa essere applicato in assenza di apparecchi e medici e nonostante strutture che, invece, si presterebbero ad essere centri di avanguardia, come nel caso dell’Ospedale FBC.

La sanità è al centro del dibattito politico perché gestisce a livello regionale miliardi di euro e tutte le forze politiche desiderano metterla al centro delle trattative perché è un assessorato che pesa e consente ritorni elettorali.

Infatti, non si parla di salute ma di sanità, come se questa non fosse strutturata per la finalità di garantire il fondamentale diritto sancito dall’art. 32 della Costituzione.

Staccare la direzione delle Asp dalla politica è l’unica soluzione possibile. Qualche assessore probabilmente la smetterebbe di alludere al fatto che è grazie al suo intervento se certi strumenti vengono messi a disposizione degli ospedali e se certi investimenti si devono fare oppure no.

Sulla questione dell’asserito acquisto della TAC a Leonforte a quindici giorni dal voto, al contrario di quello che si pensa, passa un messaggio brutto e pericoloso: “vi curate se lo decide un assessore, quando lo decide un manager e se un esponente politico, più o meno consapevolmente, acconsente a candidarsi per portare acqua ad un certo partito”.

Siamo ben oltre le classiche strade asfaltate in periodo di campagna elettorale che tanto fanno indignare gli elettori, come se nel periodo precedente non ci fosse stato tempo e modo.

La salute non può essere strumentalizzata, né sulle cure si può assistere a queste disdicevoli modalità comunicative che sanno tanto di atteggiamento mafioso.

In Sicilia, secondo lei, sarà possibile governare senza una larga intesa? 

La legge elettorale, sulla carta, è studiata per far sì che il Presidente della Regione eletto abbia un sostegno del 60% dei deputati dell’ARS, un premio di maggioranza che dovrebbe favorire la stabilità.

In pratica, da Lombardo, a Crocetta, per finire a Musumeci, le forze politiche su temi rilevanti come il piano rifiuti regionale o il piano sanitario regionale hanno finito per schiantarsi, determinando avvicendamenti e passaggi frequenti di deputati da uno schieramento all’altro.

Il sistema politico siciliano è fortemente compromissorio e facilmente trasformista e questo agevola quei piccoli gruppi di deputati, fuoriusciti dai partiti di provenienza per contestazioni interne, che si mettono assieme formando nuovi gruppi estemporanei in seno all’Assemblea per sommare i loro voti, mantenere lo status quo ed aumentare il peso specifico della relativa forza nei territori di riferimento. Così facendo, per ogni disegno di legge va ricercata costantemente la maggioranza.

Cateno De Luca ha dimostrato da Sindaco di Messina di riuscire a governare senza maggioranza o, meglio, con l’opposizione di maggioranza. Vero è che governare la Sicilia non è lo stesso di amministrare Messina, quantunque sia la terza città metropolitana della regione, ma è innegabile che la sua capacità di azione amministrativa, la visione politica e l’esperienza da deputato e da amministratore locale giocano a suo favore. Queste caratteristiche, anche di coraggio nel governare con tutti contro conseguendo risultati importanti non lo rivedo né in Schifani né nella Chinnici, ovvero i due candidati competitors.

Le innaturali alleanze, a cui i governi delle legislature passate ci hanno abituati, sono proprio necessarie? 

Le alleanze sono innaturali se considerate sotto il profilo strettamente ideologico.

Cosa c’è di innaturale se forze politiche contrapposte riuscissero a trovare un punto di equilibrio, da una posizione di “terzo includente” che va oltre le ideologie e gli schieramenti, su temi come i rifiuti o la sanità?

È normale avere un piano rifiuto datato 2004? 

In quest’ottica deve ravvedersi l’innaturale alleanza di partiti contrapposti che, con la loro condotta, mantengono lo status quo, spesso per non perdere benefici o per non toccare interessi particolari riconducibili ad un sistema stratificato e fortemente compromissorio, per non dire compromesso.

Prendere esempio dai buoni amministratori locali potrebbe essere d’auspicio.

L’analisi tecnica dei problemi aiuta a restringere la visione su un binario pratico di risoluzione, dove la chiave diviene la migliore scelta in termini di costo/efficienza.

Abbandonare la pregiudiziale ideologica, rifuggire il tornaconto elettorale, abbracciare il pragmatismo. Tre elementi che dovrebbero contraddistinguere i nuovi deputati regionali.