di Josè Trovato

ENNA – In algebra, esiste una tecnica che consente di azzerare i fattori comuni tra numeratore e denominatore, semplificando tutto. E di certo la vita, la complessità dell’uomo, non è certo una frazione algebrica. Eppure per una volta, essere ricorsi ad una tecnica scientifica, può davvero aver semplificato la vita dei protagonisti. In un certo senso è ciò che ha fatto il Tribunale di Enna, assolvendo due imputati che si accusavano reciprocamente, l’un l’altro, di atti persecutori. In una parola, per usare un inglesismo entrato ormai nel gergo comune, di stalking.

Tra i due, infatti, non si è ben capito chi perseguitasse chi. Lui meccanico non ancora trentenne. Lei, infermiera professionale di poco più grande. Entrambi si accusavano di stalking. Si sono denunciati reciprocamente.

Sta di fatto che ora c’è la sentenza. E il giudice monocratico Elisa D’Aveni, secondo quanto riferito dai legali dei due imputati, gli avvocati Salvatore Timpanaro e Doriana Saraniti, li ha assolti entrambi. “La tesi difensiva – spiega l’avvocato Timpanaro – si incentrava proprio su questo duplice ruolo di vittime e carnefici. Abbiamo sostenuto come sia giuridicamente e logicamente incompatibile con la norma uno stalking reciproco, in cui ciascuno dei due protagonisti, sia, ad un tempo, incubo e succube”.

I legali hanno ricordato la ratio ispiratrice dell’articolo 612 bis, che dal 2009 in Italia persegue, anche se può apparire cacofonico ai limiti dell’ironia, il persecutore che minaccia, molestia compie atti lesivi nei confronti della vittima. Comportamenti, in parole tecniche, tali da “cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita”.

“Lo stalking evoca una posizione sbilanciata della vittima rispetto all’autore dei comportamenti intimidatori e persecutori – proseguono i legali – con la conseguenza che laddove, invece, sia riscontrabile una situazione di sostanziale parità, anche in un ambito di litigiosità, non è configurabile il reato. Il Tribunale ha accolto la tesi difensiva ed ha assolto gli imputati perché il fatto non sussiste”. Secondo l’avvocato Timpanaro è verdetto “la cui articolata motivazione è destinata certamente a far discutere e, forse, a passare alla storia giudiziaria, al di là del mero dato di cronaca”.

Gli avvocati Doriana Saraniti e Salvatore Timpanaro