Fisco e falle nell’antievasione: tasse contestate e non pagate.

Non vi è dubbio che il quadro socioeconomico e fiscale contemporaneo sia caratterizzato da una notevole complessità. Il nostro Paese ha assistito negli anni al varo, senza soluzione di continuità, di numerosi provvedimenti e misure di protezione necessari a tutelare il rispetto delle normative relative ai regimi di tassazione e, soprattutto, a contrastare un fenomeno diffuso che ormai da decenni assilla il nostro Paese, arrecando preoccupanti ammanchi alle casse dello stato: l’evasione fiscale.
Nonostante questo, è ancora poco chiara all’opinione pubblica la differenza di terminologia utilizzata in modo indiscriminato dai mass media: “evasione fiscale” non significa “mancato pagamento delle imposte che vengono regolarmente dichiarate” ma poi non assolte. Infatti, mentre il controllo e la verifica della congruità dell’imponibile dichiarato dai contribuenti è di competenza dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, quando l’interessato non assolve al pagamento di quanto dovuto è preposta ad intervenire l’Agenzia delle Entrate Riscossione; enti differenti con ruoli completamente diversi.
Dal lato relativo alle verifiche afferenti quanto dichiarato dai contribuenti, lo scorso anno la “caccia” a chi non dichiara si è assestata su circa 175 mila controlli, con una flessione del 7,5% rispetto al 2022, ma con un evidente crollo rispetto al 2019 del 34,4 %, anche se non è stato forse considerato che il periodo in esame non può essere considerato indicativo in quanto caratterizzato dalla pressoché interruzione dei controlli a causa della pandemia. Stando alle indagini, le entrate tributarie sarebbero aumentate, pur essendo principalmente sostenute da chi paga in modo spontaneo o attraverso azioni di compliance.
Sulla base delle recenti osservazioni della Corte dei Conti, l’attenzione della autorità ha preso in considerazione la problematica dell’incasso dei crediti che, a discapito delle pratiche di antievasione sempre più stringenti per i contribuenti che adempiono ai loro doveri nei confronti del fisco, manifesta una quantità particolarmente elevata di tasse contestate che non verrebbero in seguito saldate anche se regolarmente dichiarate dai debitori. La Corte riferisce, come esempio, l’ex Ufficio IVA di Napoli le cui lacune strutturali si sono riflesse attraverso gli oltre 56 miliardi di residui attivi, ossia di imposte non riscosse.

Il dettaglio sui dati della magistratura contabile

Ciò che è emerso principalmente dallo studio condotto dalla magistratura contabile è stato che, sostanzialmente, i tentativi del Fisco di recuperare le imposte di chi non paga volontariamente risultano, spesso, velleitari o, quantomeno, conseguono obiettivi minimi. Molti contribuenti insolventi sono in grado di evitare la riscossione in quanto nullatenenti e, spesso, quando vengono sollecitati, tendono direttamente ad ignorare le richieste del fisco, preferendo attendere la ricezione dell’iscrizione a ruolo con la speranza, talvolta, di una futura “rottamazione”; in quest’ultimo caso, poi, si evidenzia un ulteriore fenomeno negativo che riguarda il solo pagamento della prima rata a cui fa seguito la completa latitanza dopo aver “tamponato” il danno e guadagnato tempo, secondo il classico detto italiano “per pagare e morire c’è sempre tempo”.
Secondo la Corte, poco più del 20% degli importi richiesti attraverso avvisi bonari (che precedono le cartelle) verrebbe, di fatto, pagato. L’insolvenza di questi pagamenti interessa anche i controlli documentali (detrazioni, deduzioni e bonus considerati goduti in modo non corretto), dove le somme dovute realmente versate risultano essere meno del 30%. Questi contribuenti insolventi non li definirei “evasori” in quanto quest’ultimo, a mio parere, è colui che non dichiara il proprio imponibile corretto al Fisco, rendendo necessaria la complessa attività di accertamento da parte delle autorità preposte.

Perché gli accertamenti fiscali sono in calo?

Sono diverse le motivazioni per le quali si è riscontrato il calo negli accertamenti fiscali. Tra questi, è possibile menzionare sicuramente la riduzione del personale, oltre agli ostacoli che gli enti preposti riscontrano nell’utilizzo delle banche tributarie, relativamente alle fatture elettroniche e ai rapporti finanziari. L’analisi digitale risulta fondamentale per il lavoro della Corte dei Conti, anche se l’Istituzione stessa sottolinea la crucialità dei controlli per poter contrastare il sempre più diffuso fenomeno dell’evasione fiscale.
Tuttavia il motivo di fondo di tutto ciò, sempre a mio parere, sarebbe rinvenibile interpretando l’antico detto napoletano “Tre so’ i putiente: o papa, o rè, e chi nun tene niente”; probabilmente, una soluzione a tale adagio non è di semplice “elaborazione”.